Squid Game diventa reality: il rischio emulazione e la tutela dei minori
La serie tv torna su Netflix con un nuovo programma in stile Grande Fratello. Ben 4,5 milioni di dollari in palio. E più di qualche dubbio etico
Ricordate Squid Game? La serie sudcoreana (in onda su Netflix dal 2021), che racconta la disperazione di una fetta della società, quella dei poveri, degli indebitati, delle persone sole e fallite disposte a mettere in gioco la loro vita pur di riscattarsi. E proprio di gioco si parla. Un due tre stella, il tiro alla fune, le biglie, tutti divertimenti che ci riportano all’età della prima infanzia ma che in Squid Game diventano pretesto per parlare di altro: violenza cruda e soprattutto morte.
Per questo motivo, il contenuto della serie è stato (correttamente) classificato come “vietato ai minori di 16 anni”. Nulla di male, dunque, se tutto fosse finito lì. Che cosa è accaduto, in realtà? Che la serie, con il suo contenuto inneggiante alla violenza, è stata liberamente vista da bambini di 9 o 10 anni, attraverso i trailer distribuiti sui social network. E, di conseguenza, si sono registrati diversi casi di emulazione (tra le testimonianze registrate: “Mio figlio ha picchiato la sua amichetta mentre giocava a Squid Game”; “A mia figlia hanno rovesciato lo zaino fuori dalla finestra dell’aula perché ha perso a Squid game, non vuole più uscire di casa”; “I miei figli non sono stati invitati alla festa del loro compagno, perché non vogliono giocare a Squid Game”), che hanno portato a una mobilitazione generale della società civile: insegnanti e genitori chiedevano a gran voce che la Serie TV fosse cancellata dal palinsesto di Netflix. Tutto questo accadeva nel 2021, con la serie TV destinata a un pubblico adulto.
Ed ecco la novità: da oggi, 22 novembre, sarà disponibile su Netflix Italia la sua versione reality show. La sfida sarà tra 456 persone comuni, che si sottoporranno a stress notevole per superare i classici giochi della serie, in una spietata gara a eliminazione con un solo vincitore e con montepremi da capogiro: 4,5 milioni di dollari. Con la versione reality, i problemi già posti dalla serie TV rischiano di essere moltiplicati:
· innanzitutto, perché non si tratta di un’opera di finzione e, dunque, l’impatto sul minore (e il rischio di emulazione) potrebbe essere maggiore;
· in secondo luogo, perché si tratterebbe di una sfida a eliminazione fondata sul tradimento reciproco (non ci sono “amici”) e il doppio gioco. Con il rischio di indurre i più giovani a confondere la "competizione" con la "cattiveria", diseducandoli e allontanandoli dai valori che dovrebbero fondare la nostra società, basati sul rispetto del prossimo, e che possono trovarsi - ad esempio - nello sport, che è sì sfida, ma leale.
La serie Squid Game – ancora di più in versione reality - accende i riflettori sul problema della rappresentazione della violenza. L’esposizione ripetuta a scene di violenza nelle serie TV (ma lo stesso può dirsi rispetto ai film e ai videogiochi) abbassa, infatti, il livello di empatia verso situazioni reali di sofferenza; in termini scientifici, la riduzione di questa competenza nell’essere umano è definita “desensibilizzazione” e il rischio che avvenga nei minori è estremamente elevato, posto che il loro cervello è in fase di sviluppo e, dunque, non idoneo a rielaborare certi dati in modo razionale.
È evidente che sarà necessario adottare tutte le cautele utili a evitare l’accesso dei minori a questi contenuti: di certo non basta la mera classificazione del “vietato ai minori”, perché facilmente disatteso; e neppure il solo affidamento all’utilizzo del parental control, strumento – peraltro – dai più ignorato. Si dovrebbe, invece, impedire il rimbalzo degli spezzoni del programma su altri canali di trasmissione, quali appunto i social network o altre piattaforme video. Ma ad oggi si registra un vuoto normativo sul punto e si avverte, in modo sempre più sentito, l’esigenza di un intervento – almeno di forma di autoregolamentazione – delle grandi piattaforme online, che impediscano l’accesso di certi contenuti da parte dei minori, con l’introduzione di forme sofisticate di verificazione dell’età.
Prima, però, e alla base di tutto, il problema è sempre lo stesso: ad oggi manca una vera educazione (in primis dei genitori) sulle corrette modalità di fruizione dei media da parte dei minori.
*Avvocato, vice-presidente Corecom Lombardia
22 novembre 2023 ( modifica il 22 novembre 2023 | 15:58)
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