Stefano Tacconi dopo la malattia: «Aprirò un ristorante, vino e ...
Il calvario di Stefano Tacconi, ex portiere con un passato importante nella Juventus, è iniziato nell'aprile del 2022: quando gli è stato diagnosticato un aneurisma e un'emorraggia celebrale. Da lì in avanti è stata una battaglia, la più dura della sua vita. Due anni d'ospedale, quasi due mesi di coma, tre operazioni e soprattutto lo spavento della morte vissuto da molto vicino.
Ora, però, Stefano Tacconi vuole riprendersi la propria vita e nel suo libro uscito lo scorso 8 ottobre, intitolato "L'arte di parare", l'ex portiere si racconta senza nessun tipo di filtro. Tacconi, dopo aver superato un periodo a dir poco critico, si sta riprendendo e in un'intervista rilasciata a Repubblica in compagnia di suo figlio Andrea e sua moglie Laura, ha parlato delle sue ambizioni future, del calcio di oggi e della sua mancata carriera da allenatore.
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Il futuroNonostante gli ultimi due anni siano stati, per usare un eufemismo, complicati, Stefano Tacconi si sta risollevando e ha intenzione di guardare avanti. «Riesci a guardare al futuro? Certo, solo che sono frenato da questi due (indica moglie e figlio)». Le ambizioni ci sono ancora e ha svelato un nuovo progetto che vuole intraprendere: «Aprire un ristorante e lo farò, alla faccia loro (indica moglie e figlio). Specialità umbre, dalla porchetta in poi. Vino e cibo a quindici euro. Ci penso da quando mi sono risvegliato». Nonostante l'immensa forza di volontà, la malattia ha lasciato il segno e il presente non è certamente agevole: «È ancora faticoso. La malattia ha lasciato tanti strascichi, specie alla gamba destra».
Il primo pensiero appena uscito dal coma è stato: «Quando ho aperto gli occhi ho visto mia moglie: ma sei morta pure tu? Credevo di essere in paradiso.
Anche se mi sa che io finirò all’inferno». Una vita senza freniDopo la malattia, per Tacconi è la mancanza di libertà uno degli aspetti più complicati: «Prendere, andare, mangiare, bere, guidare. Non stavo mai fermo, volevo fare il fighetto e non mi sono negato nulla, solo che poi il fighetto è stato castigato». I rimorsi, però, non ci sono: «No, ne è valsa la pena. Sempre meglio che andare al cimitero. A proposito: quando capiterà crematemi, così evito a tutti il fastidio di andarmi a trovare al camposanto».
Anche durante la carriera, Stefano Tacconi, non si è posto molti limiti. Un carattere forte, a volte spregiudicato, di certo non si è mai nascosto: «Prima delle partite mi facevo otto caffè, un pacchetto di sigarette e un amaro: se in centomila mi urlavano cabron, come al Bernabeu, non me ne fregava niente. Zenga invece pativa tutto ciò. Il mio amico Walter: ci davano per rivali, invece ci mettevamo d’accordo per decidere con quale polemica stuzzicarci». Si è sempre considerato pazzo, complice anche il ruolo da portiere, ma lo è ancora? «Lo sono ancora. In ospedale dovevano legarmi al letto. Una volta sono scappato, m’hanno trovato al quarto piano. Dico grazie a tutti: la sanità pubblica mi ha salvato la vita».
Il calcio di oggi e i possibili ruoliStefano Tacconi ha scelto di non cimentarsi nel ruolo di opinionista sportivo, strada che molti suoi colleghi hanno scelto di seguire: «Sarei troppo scomodo. Ma li vedete? Sono tutti paludati, inquadrati, anche Adani. Fanno filosofia, ma il calcio è arte, anche se c’è ben poco di artistico da commentare». Il parere dell'ex portiere sul calcio di oggi è molto netto: «È di una noia mortale. Sono tornato allo stadio per Juve-Napoli: una palla. Noi portieri eravamo dei pazzi, adesso sono tutti a modino e giocano con i piedi. Io appena avevo la palla la tiravo più lontano che potevo».
Non è stato considerato nememmeno il percorso da allenatore o da dirigente, i motivi sono chiari: «Se avessi allenato Cassano e Balotelli li avrei presi a calci in culo non so fino a dove. Da dirigente, a quelli come Tacconi avrei detto di fumare e bere meno. Che poi è quello che mi dicono Laura e Andrea. Sono i miei dirigenti».
Ultimo aggiornamento: Lunedì 14 Ottobre 2024, 12:39© RIPRODUZIONE RISERVATA