Stefano Tacconi, la prima intervista dopo l'aneurisma: «Il chirurgo ...

5 Nov 2023
Stefano Tacconi

Stefano Tacconi arriva in studio spingendo la sedia a rotelle. Per la prima volta, dall’aneurisma cerebrale dello scorso anno, concede un’intervista e partecipa a Verissimo, iniziando la chiacchierata con le lacrime agli occhi. «L’abbiam passata brutta, pensavo di essere immortale e invece dietro l’angolo c’è qualcosa di inaspettato. Meno male che c’era mio figlio (Andrea, ndr.). Quando sono tornato a casa sono stato annaffiato dai miei cani che mi hanno leccato in continuazione».

Con Silvia Toffanin rivive l’incidente: «Erano due o tre giorni che sentivo che qualcosa non andava bene, mal di testa, stanchezza, ero andato in giro per chilometri e chilometri. Non pensavo fosse qualcosa che avevo in testa, era il 23 aprile, il compleanno di mia moglie. Ho perso il matrimonio di mia nipote e alcuni eventi familiari».

L’ex portiere della Juventus continua: «Dei primi tempi non ricordo niente, ero in coma. Ricordo la fatica che ho fatto per la riabilitazione molto dura: da 25 anni non toccavo una palestra e ho dovuto ricominciare da capo a camminare e parlare. Mia moglie e i miei figli sono stati importanti perché facevano avanti e indietro da Milano a Torino e Alessandra. Ringrazio il Don Gnocchi e mia moglie che è devota di Padre Pio mi ha prenotato una vacanza a San Giovanni Rotondo. E anche le fisioterapiste, che sono state bravissime ma anche durissime. Una di loro la chiamavo “Dolores” perché rideva sempre ma ci faceva piangere tutti. Mi hanno fatto lavorare tantissimo per quattro mesi. E i tifosi hanno messo lo striscione sotto la camera d'ospedale».

E oggi? «Mi dicono tutti di stare attento perché l’emorragia può tornare ma io non sto mai fermo e ho sempre bisogno di muovermi. La mia squadra è la mia famiglia. In questo periodo me li sono goduti tutti, adesso non mi fanno toccare né vino né sigarette. Quando lo faccio ricevo delle scoppole in testa. E io rispondo: “Mi raccomando, non sulla vena”».

Sulla moglie aggiunge: «Il medico, prima dell’operazione, le ha detto “Preghi ora perché non so se arriva a domattina”, ha resistito anche lei che è una trentina, una montanara, ora mi sta dietro e mi cura. E adesso cucino io».

Silvia Toffanin fa entrare in studio il figlio Andrea, il primo a chiamare i soccorsi e restare accanto al padre, in macchina al suo fianco. «Stavamo andando alla fiera delle figurine ad Asti, ma già dal mattino era sbiancato. Pensavo fosse un mal di testa classico. Quando arriviamo sul posto, lui scendendo dalla macchina è crollato in testa già in coma. Io l’ho preso al volo così non ha sbattuto la testa. Ho visto subito che era un problema al cervello perché vedo tante serie alla Dottor House, vedevo che aveva convulsioni e avuto la prontezza di girarlo sul fianco e lì ha iniziato a respirare di nuovo. E poi ho chiamato subito i soccorsi, l’ambulanza è arrivata in cinque minuti ma ci hanno poi avvisato che non sapevano se sarebbe arrivato vivo ad Alessandra dov’è stato trasferito. Il dottor Andrea Barbanera l’ha praticamente salvato». Secondo Stefano Tacconi, dal momento che lo specialista stava per finire il turno, dice che è avvenuto al momento giusto.

«Mi hanno operato due volte - continua l’ex portiere – perché la prima volta non ha funzionato». Dopo una settimana e mezza il campione è uscito dal coma, «ci rispondeva – aggiunge il figlio - sbattendo gli occhi e muovendo le mani, era intubato all’Ospedale Borsalino di Alessandria».

Secondo Andrea il padre è stato un paziente difficile, che non accettava di rimanere fermo (in ospedale è caduto sette volte): «Io sono il primogenito e ho dovuto incrementare il lavoro. Se vien meno il pilastro, serve un pilastrino».

«Quando vedo il pericolo so come buttarsi»: Tacconi ci scherza nel rivivere le volte in cui è caduto dalla carrozzina mentre cercava di alzarsi. Nel frattempo sono venuti gli attacchi di panico sia all’ex portiere che ad Andrea.

Alla conduttrice Stefano Tacconi dice di essere rimasto lo stesso, «intanto mia moglie raccoglie di tutto su Padre Pio e mi ci portava tutti i giorni quando ero all’ospedale in Puglia, anche nella cripta dov’è stato seppellito prima d’andar via: dovevo salutarlo e ringraziarlo».

Per chiudere il servizio sono arrivati i saluti di Antonio Cabrini, Totò Schillaci e Walter Zenga.

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