La giornata da incubo di Tamberi: la colica, l'ospedale, il salto ...

11 Ago 2024
Tamberi

diGaia Piccardi, inviata a Parigi

Un incubo la giornata dell’oro di Tokyo nel salto in alto Gianmarco Tamberi, dall’ospedale alle lacrime per un'eliminazione precoce dalle Olimpiadi di Parigi: «Non lo merito, era l'ultima vera gara cui dedicare la vita»

PARIGI Sul materassone spesso dello stadio, sdraiato a pancia in su e braccia larghe come quando si divertiva a saltare da bambino, finisce la folle corsa di Gianmarco Tamberi.

Ricapitolando: sveglia alle 5 di mattina con una fitta acuta al fianco, telefonata al dottore della Nazionale, primo post su Instagram («È tutto finito. Sono riuscito a battere il destino dopo l’infortunio nel 2016, questa volta ha vinto lui»), antidolorifici, vomito con tracce ematiche, ricovero e flebo al braccio (foto pubblicata dalla moglie Chiara), secondo post su Instagram («La colica renale non è ancora passata: il dolore che provo è nulla a confronto di come mi sento dentro»), consulto con i medici («Lo staff federale ha verificato che non sussistono impedimenti assoluti per la partecipazione alla finale olimpica»), pranzo, terzo post durante il trasferimento allo stadio («Ci sarò»).

Se fosse un romanzo sarebbe guerra senza pace, ed è inutile sottilizzare sulla gestione — pratica e mediatica — di un problema acuito dalla magrezza, dalle saune e dalla pochissima idratazione che si è imposto il campione. Gimbo Tamberi è così, prendere o lasciare. Voleva conquistare il secondo oro consecutivo a tutti i costi, e sulla strada del sogno ha seminato dettagli di cui non sentivamo l’esigenza («Sono stato portato via in ambulanza dopo aver vomitato due volte sangue»), il solito egocentrismo che non riscuote l’unanimità dei consensi, ma anche la feroce determinazione di chi non intende permettere al destino di interferire con ciò che sente suo di diritto. Se non fosse cocciuto ai limiti dell’autolesionismo, nel salto in alto non avrebbe vinto tutto. E non sarebbe Gianmarco Tamberi.

Disposto a scarnificarsi per lo sport cui ha consacrato l’esistenza, Gimbo è l’anima pallida che con faccia stravolta fissa l’asticella piazzata a 2,22, la scavalca con fatica, fallisce 2,27 e si butta a corpo morto sul materassone alla fine della gara, per forza di cose, peggiore della carriera. «Mi dispiace da morire, nonostante tutto ero convinto di poter fare qualcosa — dirà —. Ho lavorato così tanto per questa Olimpiade, la sentivo come l’ultima vera gara a cui dedicare la vita, non mi sono mai fermato a guardare cosa avevo raggiunto. La fame in pedana c’era, tutto il resto no. Vorrei solo stare tranquillo e non pensarci, ma non riesco ad accettarlo». 

La beffa, uscendo dopo sei salti senza tregua né sostanza, è che il protocollo olimpico costringe Gimbo al supplizio di restare a guardare gli altri: l’erede Stefano Sottile impeccabile fino a 2,34 e infine ottimo quarto; il neozelandese Kerr e l’americano McEwen che, a differenza sua e di Barshim (bronzo) a Tokyo, non accettano l’oro ex equo, continuano a saltare, vengono respinti da 2,38, poi da regolamento comincia la progressione inversa: a 2,36 è il kiwi a imbroccare il volo giusto con le ultime forze, annettendosi lo spareggio.

Tamberi può finalmente caricarsi lo zaino sulle spalle e uscire dall’incubo. Ha la barba lunga della notte insonne, non ha nemmeno avuto il tempo di radersela a metà, come il rito pre-finale impone. Provano a consolarlo gli amici storici venuti da Ancona, la moglie Chiara, la mamma Sabrina. Invano. 

«Sono sempre ipercritico, mi conoscete, ma oggi non ci riesco. Volevo continuare a lottare, mi dispiace da morire perché non lo meritavo. Ho dato tutto me stesso allo sport, il giorno in cui il Coni mi ha comunicato che sarei stato portabandiera a Parigi è stata un’emozione unica. Ci ho provato fino alla fine, in pedana mi sono detto di dimenticare tutto ma non ce l’ho fatta. Non scorderò l’affetto che ho sentito, grazie a tutti» si accomiata.

Non è la sera giusta per chiedergli se continuerà fino al Mondiale di Tokyo, nel 2025, dentro lo stadio dell’oro che lo ha portato a toccare le stelle. Questa notte parigina, di stelle non ne ha. A tarda sera, nella pancia dello stadio, ne rimane una implosa, forse per aver brillato troppo. Tamberi se ne va triste dopo aver regalato gioia a piene mani per un decennio. Il cielo di Olimpia non è più suo. Ma c’è una vita, finalmente, da vivere. È tempo, caro Gimbo.

11 agosto 2024 ( modifica il 11 agosto 2024 | 08:28)

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