Tamberi, la promessa

Tamberi

Sapeva di perdere, ma si è presentato. Da vero capitano di se stesso e dell’Italia olimpica. 

«Ehi, buongiorno. Ti strappo una promessa. Non succede, ma se succede me ne dedichi una intera tutta per me?». 
Era il 16 luglio, mancavano soltanto dieci giorni all’inizio dei Giochi. Una settimana prima Gianmarco aveva dovuto interrompere la preparazione per un fastidio al quadricipite. L’umore era nerissimo («scusa, ma oggi non sono nel mood di parlare»).  
Il messaggio mi sorprese. La prima pagina? Risposi. Fatto, se c’è di nuovo l’oro. Lo scambio proseguì: «Stavo leggendo il giornale e ho avuto questo flash e ti ho scritto. Non sai quanto vorrei che si avverasse questa cosa, non puoi renderti conto di quanto io abbia lavorato per riuscirci».  
Se succede, aggiunsi, ti facciamo anche la plastificata. Gimbo chiuse con un «Mammamiaaaaa» e una lunga serie di emoticon sorridenti. 
Poi c’è stata la prima febbre, il ricovero per il timore che si trattasse di calcoli renali, la nuova ripresa e la prima serie di salti, faticosissimi, preceduta da un altro messaggio, la risposta al mio inevitabile «come stai?». «Non mi importa di come sto, devo saltare comunque». 
Più smagrito che agli Europei, la tuta nera e il cappuccio per tentare di proteggersi dalla sfiga, lo sguardo sofferente, privato dell’energia necessaria. La fretta di saltare, una concentrazione a metà, distante dalla sua di sempre, l’asticella soltanto sfiorata, infine abbattuta tre volte: durante la serie di qualificazione abbiamo giustamente faticato a ritrovare il vero Tamberi. Ma è andata. «Sabato sarà tutto diverso». 
La notte che ha preceduto la finale, altro dolore, altra colica, una sorta di diretta social del calvario, «ha vomitato sangue», l’ambulanza, il secondo ricovero, la flebo. Sdraiato lui, che di solito tocca il cielo.  
«Ma ci sarò». 
Gimbo c’era, ieri sera il capitano era presente, mancava tutto il resto. Mancavano le gambe, la testa, le molle, anche la barba era malfatta, imprecisa. Il solo fatto di averlo visto in pedana, però, è stato qualcosa di indimenticabile. Tamberi ha trasmesso lo spirito dell’atleta, del leader, del professionista che da tre anni sognava di ripetersi ma che ha finito in lacrime abbracciato alla sua squadra, agli amici. Here for a reason, siamo qui per una ragione. 
Noi la prima pagina gliela dedichiamo comunque e con orgoglio, perché Tamberi è il volto di una spedizione che ha ripetuto e superato per qualità di medaglie il bottino di Tokyo: il miglior esempio di guida è la guida condotta con l’esempio.  
Gianmarco è qualcosa di nuovo per la nostra atletica: è un personaggio naturale e costruito e teatrale, allo straordinario talento unisce doti altrettanto eccezionali di comunicatore. Arriva alla gente, rendendo il salto in alto una disciplina pop. No, non è Valentino, ma un misto tra Baggio (per il carisma genuino) e Del Piero (per l’attenzione ai dettagli), vorrei capire perché proprio dalle Marche, e in pochi chilometri, escono campioni così empatici, effervescenti e in qualche modo simili, quali appunto Valentino Rossi, Gimbo, Magnini. 
Gimbo ha lasciato lo stadio - gli 80mila l’hanno applaudito -, accompagnato da I will survive. Lui capitano.  

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