Marco Tardelli, una storia italiana

3 ore ago
Tardelli

Un omaggio per le settanta primavere.

Anni fa qualcuno ha consegnato idealmente a Marco Tardelli la palma del più forte calciatore italiano degli anni ’80. Quel qualcuno si chiama Paulo Roberto Falcao ed è fonte piuttosto autorevole. In effetti, uno dei pochi che nel calcio di oggi potrebbe vantare in quel ruolo pari completezza è stato forse Daniele De Rossi, ma non la medesima duttilità in campo. Marchisio, per esempio, ha potuto valorizzare piedi migliori, ma non aveva la furia agonistica di Tardelli, Gattuso aveva la stessa cattiveria a centrocampo ma il tasso tecnico non era neppure paragonabile. Oggi Marco Tardelli, un’icona vivente del Mundial 1982, compie 70 anni, di cui oltre 60 passati sui campi di gioco.

MARCO L’ITALIANO

Hanno proprio un sapore di casa nostra la vita e le opere di Marco Tardelli. Ci sono molti elementi tipici dell’italianità: l’arte di arrangiarsi, il sacrificio quando serve, il mestiere e un pizzico di furbizia professionale quando necessari, la capacità di esternare i propri stati d’animo, dunque di entrare in empatia con gli altri. Il che non significa essere per forza simpatici a tutti, ma agli occhi di chi gradisce solo “sì” avere un carattere significa essere un rompiballe. E a Marco il carattere non è mai mancato, perché è anche e soprattutto con quello che ha fatto strada.

Il futuro campione del mondo 1982 nasce a Capanne di Careggine, in provincia di Lucca, il 24 settembre 1954. Fin da ragazzino vuole giocare al calcio ma deve fare presto i conti con limiti di natura fisica. Ma riesce a compensare con potenzialità che non lo fanno passare inosservato agli occhi dei tanti scopritori di talenti. Se l’aspetto, ancora un po’ gracile, non gli dà una mano, saranno la grinta e la corsa le armi per sopperire.  

«Io vengo dal calcio dell’oratorio e dall’Italia contadina – dirà un giorno in un’intervista – rubavo il pallone all’avversario e le susine dagli alberi del vicino. Il calcio per me era tutto. Anche se ho dovuto faticare per farlo capire in casa: ero magrolino, sudavo sempre, e mia madre, preoccupata, mi nascondeva le scarpe da gioco».

Oltre al carattere, abbastanza reattivo fin da subito, c’è anche una tecnica di base già a buon punto, che nel corso degli anni andrà perfezionandosi. Dopo la crescita calcistica nelle giovanili del San Martino di Pisa, esordisce in serie C, nel Pisa. Viene acquistato appena diciottenne per 75mila lire. È qui che la storia, tanto italiana, di Marco Tardelli ha davvero inizio. Con il Pisa colleziona in due anni 41 presenze e va in gol 4 volte. Non male per un difensore alle prime armi che ogni tanto si sgancia dalla propria area di rigore perché sa farlo. All’inizio del campionato 1974-75 il ragazzo è pronto per palcoscenici più impegnativi: il Como gli dà l’opportunità di giocare in serie B in un’annata indimenticabile, quella che riporta la piccola squadra lombarda in serie A dopo un quarto di secolo.

Il giovane Marco, già leader nello spogliatoio, è uno degli artefici della promozione e il nome comincia a ronzare nelle orecchie degli addetti ai lavori che contano. È la metà degli anni ’70: proprio in quel 1975 la soglia minima della maggiore età passa dai 21 anni ai 18. Per evitare possibili equivoci, a settembre di quell’anno Marco ne compie 21 ed è comunque pronto per il grande salto, a prescindere dai dati riportati in anagrafica. Maggiorenne o no, mostra la voglia di migliorarsi sempre e questo gli permette di sbaragliare eventuale concorrenza nel proprio ruolo.

IL SALTO DI QUALITÀ

Nonostante una corte serrata da parte dell’Inter è la Juventus di Giampiero Boniperti ad assicurarsi per 950 milioni (pagati in contanti) il cartellino di un promettentissimo terzino che corre per tre e che sembra quasi sprecato nel marcare l’avversario di fascia. Sarà un altro pezzo di storia del calcio italiano a garantirne l’evoluzione tattica: Giovanni Trapattoni. Poco alla volta Marco Tardelli diventa un centrocampista, prende la maglia numero 8 e nessuno gliela toglierà più.

Uno di quelli che ti sfiancano, che non ti fanno respirare e che, a buon bisogno, sanno far ripartire l’azione come soltanto un interditore dai piedi buoni potrebbe fare. Con licenza di far gol, peraltro. Quando nell’aprile del 1976 gli si aprono le porte della Nazionale di Enzo Bearzot, all’inizio c’è chi storce il naso: di sicuro lo convocano perché sta nella Juventus, sostiene qualcuno. Ma il discorso si potrebbe anche ribaltare: se è titolare nella Juventus, un motivo ci sarà pure.  

CARATTERE E IMPORTANZA IN CAMPO

La verità è che nella compagine azzurra Marco Tardelli ci sta perché è forte. Passa per un temperamento nervoso, forse umorale, ma senza la sua protezione a centrocampo la difesa talvolta va in crisi e gli attaccanti fanno fatica a trovare palloni giocabili. Si dice che soffra di insonnia, specie durante le vigilie che contano, ma poi in campo è il più sveglio di tutti e quando gira lui, in pratica gira la squadra. Anche Enzo Bearzot si rende conto che il numero 8 della Juve è il vero perno del centrocampo e che intorno a lui si può costruire il gioco dell’Italia.

Nessuno è in grado di correre altrettanto, annullare l’avversario a centrocampo, impostare il gioco a favore delle punte e di quando in quando anche di realizzare in prima persona. Nel calcio di oggi sarebbe una pedina insostituibile. In quello di ieri, invece, pure. Si dice anche che sia un tipo leggermente permaloso. Una volta, a un giornalista che gli ricorda un’ammonizione record rimediata dopo due secondi di gioco durante un Juventus-Milan per un’entrata durissima, quasi intimidatoria, su Gianni Rivera replica seccato:

«Ma possibile che vi ricordate di me solo per quel fallo?».

Ovviamente non è così: il pubblico italiano si ricorda di lui anche per le tante imprese in bianconero e in azzurro. Per un gol che nel 1977 contribuisce in modo pesantissimo alla vittoria della Juventus in Coppa UEFA, tanto per dire; per una rete che nel 1980 ci permette di battere gli inglesi ai Campionati Europei; per un palmarès che assomma 5 scudetti, 2 Coppe Italia, 1 Coppa UEFA, 1 Coppa delle Coppe, 1 Supercoppa Europea e 1 Coppa dei Campioni. Già, una Coppa dei Campioni. La sua ultima partita con la maglia bianconera coincide con la terribile serata dell’Heysel. Marco Tardelli è uno dei pochi protagonisti del 29 maggio 1985, forse l’unico, a essersi scusato pubblicamente per aver festeggiato dopo una vittoria come quella.

Uno dei pochi, sì: c’è anche chi ha raccontato di essere stato all’oscuro dei fatti e chi anni dopo è diventato un’eminenza politica del calcio senza voler mai affrontare l’argomento se non per frasi di circostanza. Dopo quella “vittoria al sangue” il numero 8 prende una decisione importante: il suo tempo a Torino è scaduto. Vivrà una seconda giovinezza all’Inter, senza vincere nulla ma dimostrando ancora intatto il suo valore. L’importanza di un giocatore si vede soprattutto quando non c’è: senza di lui il centrocampo della Juventus non è più lo stesso. La Juventus non è più la stessa. Dopo lo scudetto del 1986, il primo dell’era Trapattoni del quale Tardelli non può fregiarsi, ci vorranno nove anni per cucire di nuovo il tricolore sulla maglia bianconera. Sarà un caso, ci mancherebbe, però…

L’URLO DI MARCO TERRORIZZA ANCHE L’AVVERSARIO

Chiude la carriera nel 1988 in Svizzera, con la maglia del San Gallo. Meno ricco di successi il suo curriculum di allenatore e dirigente: Italia Under 16, poi Como, Cesena e dal 1997 commissario tecnico della Nazionale Under 21, con la quale vince il titolo europeo di categoria nel 2000. Dall’ottobre dello stesso anno diventa allenatore dell’Inter: esonerato alla fine della stagione (caratterizzata fra l’altro dallo 0-6 col Milan in campionato e dall’1-6 col Parma in Coppa Italia), stessa sorte avranno le esperienze con Bari (2002-2003), Egitto (2004) e Arezzo (2005).

Nel giugno 2006 entra nel consiglio di amministrazione della Juventus, dimettendosi dopo un anno a causa di insanabili divergenze con la dirigenza bianconera. Da maggio 2008 a settembre 2013 è il viceallenatore della Nazionale irlandese guidata da Giovanni Trapattoni, proprio colui che ne fece uno dei più grandi centrocampisti di tutti i tempi. Poi intraprende una carriera di opinionista sportivo in Rai e addirittura di conduttore. I temi che tratta sono sempre quelli che conosce di più. Il meglio ce lo teniamo in fondo: Marco Tardelli diventa campione del mondo con la Nazionale italiana nel 1982.

Al termine del Mundial, due saranno le sue segnature, entrambe di capitale importanza. Una all’Argentina di Maradona e l’altra proprio la sera del trionfo di Madrid. L’iper-osannato urlo dopo il gol del 2-0 alla Germania diventerà un’icona del modo di esultare dopo aver compiuto una prodezza come la sua. La sua gioia mette quasi spavento e il video che ritrae quei momenti è ancora gettonatissimo su Youtube ma il diretto interessato sembra non saperlo. Allo stesso giornalista che anni fa gli ricordò l’entrata assassina su Rivera, Tardelli rispose un po’ piccato anche sull’argomento specifico:

«Ancora con quell’urlo? Basta, sembra che nella vita io abbia fatto soltanto quello».

Alla veneranda età di 70 anni, Marco ci ha ripensato: per una volta, forse, ha tolto la gamba su un contrasto. Ora di quell’urlo va più che fiero. Forse è un’immagine da tramandare ai posteri, quella. Forse è una storia da raccontare ai nipoti, un giorno. Il tempo per rifletterci c’è. Nel frattempo, quella sequenza di gioia incontrollata è diventata patrimonio dell’umanità. Non solo degli italiani.

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