The Crown, come la musica nella serie è stata capace di raccontare ...

17 giorni ago
The Crown

Il fine meta-testuale di una canzone così come la conformazione di una sinfonia nascondono al suo interno molteplici vie narrative che non sempre vengono comprese al primo ascolto. Il periodo storico in cui sono state composte, la visione intima e personale dell’artista che si accingeva a trasporre in musica i propri turbamenti personali e sociali, il fine che avrebbe raggiunto al momento della sua messa in scena. Tali elementi non solo conferiscono un valore simbolico a ciò che l’arte può raccontare ma diventano fondamentali quando questi vengono impiegati per raccontare un periodo storico che tanto ha segnato l’anima di un paese, nella sua discordia e accettazione.

La musica è l’anima della corona

Per questo quando Peter Morgan si accinse per la prima volta ad immaginare come si poteva effettivamente rappresentare una storia così complessa come quella di The Crown, in cui il racconto shakespeariano e la moltitudine dei personaggi, si fondono con la realtà, non poteva non considerare quanto la musica e la cultura pop britannica avessero definito il Regno della Regina Elisabetta II. Nella sua durata di 25.782 giorni, il paese d’oltremanica ha visto navigare attraverso le sue onde sonore molteplici artisti che hanno definito la storia della musica contemporanea, mostrando pedissequamente ogni decade e tumulto sociale che mise in pericolo la corona stessa, così come l’animo umano di coloro che ne componevano la linea di discendenza reale.

La musica diventa strumento di contestualizzazione geografica e temporale per mostrare ciò che Buckingham Palace ha da sempre tenuto nascosto, l’anima della corona. Sin dal principio il comparto musicale di The Crown si è avvalso di molteplici figure come Hans Zimmer, Lorne Balfe e Rupert Gregson-Williams che nelle prime due stagioni hanno tracciato prettamente la crescita di Elisabetta II come regnante, ma nel tempo sono stati il compositore Martin Phipps, che vedremo a breve misurarsi con un nuovo monarca come Napoleone, e la music supervisor Sarah Bridge a strutturare una colonna sonora che misurasse perennemente l’ambivalenza tra ciò che dovrebbe essere lo stigma reale e l’evoluzione della società britannica.

Se la musica composta vuole tracciare la solennità, il destino alle volte nefasto di portare un fardello così ingombrante per la propria vita terrena, la supervisione musicale si conforma innalzando il fine testuale delle canzoni selezionate attualizzandole non solo rispetto al periodo storico del Regno Elisabettiano ma anche con ciò che quelle parole si accingevano a rappresentare per i membri stessi della corona.

Justin Downing/Netflix

L’esperienza diretta di Sarah Bridge

Come racconta la stessa Sarah Bridge in esclusiva: “quando inizio ogni stagione di The Crown l’elemento su cui mi concentro inizialmente è proprio quello di guardare e di analizzare la linea temporale su cui si concentrerà la narrazione. Questo ci dà modo di comprendere le date specifiche o i determinati eventi storici che hanno avuto luogo in quel dato periodo e la modalità con cui sono entrati nella sfera privata della corona. C'è un sacco di ricerca iniziale che va verso questo aspetto. Inizialmente metterò insieme singole playlist per ogni episodio e scene specifiche, o contrassegnerò aree in cui penso che potremmo potenzialmente includere musica sorgente, essendo musica commerciale all'interno di ogni episodio. Poi guarderò i singoli personaggi e lavorerò con loro; ovviamente in questa stagione vediamo William passare attraverso il dolore incredibile della tragica perdita della madre, e c'è sicuramente spazio all'interno di questo tumulto emotivo dove il suo personaggio approfondisce e cerca conforto nella musica. Ci sono molti momenti di riflessione, ma è trovare i giusti pezzi di musica di quel periodo che funzionano con lui come un personaggio e riflettono anche come si sentiva, e l'umore. È evasione attraverso la musica, e penso che tutti attingiamo alla musica in quel modo come una forma di evasione e conforto a volte. Allo stesso modo, il rovescio della medaglia è la felicità quando entriamo nella vita universitaria di William e Kate e tutta l'avventura che ne scaturirà, l'eccitazione e l'energia che porta, seguendo il loro viaggio musicale nel sancire una nuova epoca per la famiglia reale”.

Il metodo di lavorazione di Bridge è diventato fondamentale per la serie sin dalla strutturazione dei trailer, abbattendo di netto il suo fine prettamente didascalico come si denota anche nell’ultima stagione con la reinterpretazione di Mad World dei Tears for Fears (le conseguenze dell’accaduto saranno devestanti) . La cover di The Times They Are A-Changin di Bob Dylan nella terza stagione anticipava i moti popolari che avrebbero scosso l’Inghilterra negli anni ’60, e l’utilizzo di How Soon Is Now? degli Smiths nella successiva stagione, voleva metteva in risalto il prologo “matricida” nel rapporto burrascoso tra il principe Carlo e la regina Elisabetta: “I’am the son / and the heir” (io sono il figlio, e l’erede). Senza tralasciare che gli stessi Smiths solamente nel 1987 firmeranno la loro tracklist con un brano a dir poco rivelatore come The Queen is Dead nel raccontare la crisi della corona che iniziava a deteriorarsi anche attraverso le scelte dell’erede al trono e del suo triangolo amoroso, lontano dalla realtà popolare che ancora cercava di riprendersi dal periodo thatcheriano: “quando sei legato al grembiule di tua madre/Nessuno parla di castrazione”.

“Penso che la quarta stagione sia stata il punto culminante in termini di sperimentazione musicale. Peter (Morgan) ed io abbiamo discusso fin da subito di dove sarebbe stato fondamentale utilizzare determinate canzoni. La storia di Diana e il suo conseguente tumulto emotivo, che si apre con Age of Seventeen di Stevie Nicks, in cui la futura Principessa di Galles festeggia con le sue amiche il fidanzamento ufficiale con Carlo, cambia completamente registro non appena si trasferisce nella prigione dorata di Buckingham Palace in cui la sua ancora di salvezza è rappresentata unicamente dai suoi pattini e dai Duran Duran. Così come il ballo diventa funzione con Song for Guy di Elton John nel rappresentare sia il suo isolamento a corte che la sua forza di rialzarsi. È un vero momento agrodolce di tristezza ma anche di empowerment”.

La musica anticipa ciò che l’occhio ancora non riesce a vedere, così come l’unione tra il ballo tra Carlo e Diana nella quarta stagione è perfettamente sovrapponibile al ballo che Carlo e Camilla compiono nell’ultima stagione durante il suo cinquantesimo compleanno. Guida lo spettatore nelle trame più recondite e nel simbolismo, tanto che una conversazione innocua tra Diana e Dodi Al-Fayed possa far presagire dalle note di un pianoforte e dal suo definirsi una “piccola ballerina” il destino nefasto che li attende.

TheCrown_220922_Ep601_Stills_DanielEscale_0559.ARWDaniel Escale/Netflix

Martin Phipps tesse lo spirito della Regina Elisabetta

Se Sarah Bridge ci ha guidato nella formazione famigliare della corona, nella sua umanizzazione, la musica composta da Martin Phipps scava nell’animo umano della corona; la musica solenne che interagisce con la figura umana della Regina Elisabetta. La sua fermezza, il suo modo di concepire la corona come unica forma di vita, anche a discapito dei propri cari, si scontra con ciò che la musica dovrebbe comunicare, cioè emotività.

Ci sono temi che spesso attribuiamo a certi personaggi, ma si tratta principalmente di un'emozione condivisa. È la ricchezza emotiva nei nostri personaggi che stiamo cercando di far emergere e segnare. Con il personaggio della Regina si è sempre trattato di catturare il suo viaggio emotivo, la sua formazione a discapito di tutto, e ciò accade anche nei primi quattro episodi dell’ultima stagione dove il dolore e lo shock è ben catturato. Stiamo cercando di dimostrarle che non ha più contatti con la sua gente, e che Diana era diventata la loro guida. Questo è il momento chiave, che porta al culmine dell'episodio, ed è quello che stavamo cercando di raccontare, così come nell’episodio legato alla tragedia mineraria di Aberfan, è qui che la Corona eccelle davvero. È un elemento molto difficile da mettere in risalto in questo regno di fact-fiction, con personaggi reali. C'era dolore e dolore ovunque, ma stavo cercando di conquistare la Regina, una donna che non poteva provare emozioni. Quindi, stavo cercando di convincere il nostro pubblico a provare emozioni per una donna che non poteva provarne ed è stato incredibilmente impegnativo”.

L’opera di Peter Morgan, ha avuto il pregio e il coraggio di saper rispettare lo schema storiografico senza essere didascalico, di raccontare ogni singolo frammento del Regno della Regina Elisabetta non partendo direttamente da ciò che si conosceva ma entrando nella caducità degli eventi che portarono a tali cambiamenti. La musica in questo ha saputo mostrarne la verità, il fascio di luce nell’occhiello a mostrarne la vita, gli scandali e gli amori di un regno senza tempo. Ed è questo che l’arte dovrebbe saper fare.

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