L'ultima partita di Dominic Thiem: l'eredità di un campione fragile ...

8 ore ago
Thiem

Prima che il tennis diventasse in Italia materiale per il mainstream, ma dentro un'epoca che in fondo mai così mainstream era già stata per il tennis - quella dei Fab Four - a un certo punto comparse anche un ragazzotto austriaco dalla brutale potenza. Quei quattro si stavano tramutando in tre per via dei problemi fisici di Andy Murray e l'arrivo di Dominic Thiem sembrò ai più una bella ventata d'aria fresca per dare un po' di ricambio generazionale. I nati tra il 1981 e 1987 avevano infatti monopolizzato il tennis, cancellando totalmente - pratica piuttosto rara in qualsiasi sport - un intero quinquennio di atleti professionisti: quelli nati tra il 1990 e il 1995. Unico rappresentante vero, unico tennista a lungo in grado di spaventare - e di tanto in tanto anche vincere quando davvero contava - contro i fenomeni ormai noti, proprio Dominic Thiem.

Anche per questa ragione l'austriaco, negli ultimi 10 anni, ha rappresentato per tutti i veri appassionati un giocatore a suo modo speciale. Atteggiamento impeccabile in campo, tigna da guerriero, grande lottatore, a tratti un'imbarazzante - per chi ci giocava contro - capacità di generare potenza dal fondo. E poi quel rovescio a una mano che già di per se strappava l'occhio. Un colpo che Thiem giocava spesso carico in top spin, disegnando trame letali da cui però sapeva uscire in maniera brutalmente potente col lungolinea vincente. Non da meno era il dritto carico e lavorato, così come un servizio in kick che, nelle calde e secche giornate di fine Primavera della terra rossa europea, si è spesso configurato come un'arma importantissima per aprirsi angoli di campo e spiragli di gloria.

Sì perché Dominic Thiem, per un tratto, è stato davvero considerato la prima alternativa a Rafael Nadal sulla terra battuta. Ma il suo palmares, oggi, alla vigilia di quella che presumibilmente sarà la sua ultima partita della carriera (a Vienna contro Luciano Darderi), ci dice che l'austriaco è stato anche molto, molto altro. Se è infatti vero che tra il 2015 e il 2019 Thiem collezionò 10 dei suoi 16 titoli ATP sulla terra rossa, altrettanto lo è che i suoi successi più prestigiosi l'austriaco li ha ottenuti fuori dal rettangolo rosso. Il primo Masters 1000, ad esempio, sul cemento di Indian Wells nel 2019 contro Roger Federer. E poi il famigerato e tanto atteso primo titolo slam, allo US Open 2020, nell'edizione 'bolla' in pieno Covid. In mezzo le memorabili semifinali (2017) e finali del Roland Garros (2018-2019): inutile ricordarvi a chi l'austriaco si dovette arrendere. Thiem insomma è stato giocatore di enorme spessore e di assoluta grazia tennistica per più di un quinquennio. La sua storia però è curiosa perché oltre alle gesta dello sportivo, porta in scena tutto quell'altro spaccato di cui nello sport professionistico non si parla mai: l'uomo e le sue fragilità.

Dominic Thiem lors de son titre à Indian Wells en 2019.

Credit Foto Getty Images

Fragilità fisiche e fragilità psicologiche. Entrambi aspetti con cui Thiem è dovuto scendere a compromessi. C'è infatti il Thiem cui abbiamo fatto riferimento fin qui, quello della brutale forza fisica e dalle traiettorie balistiche in grado di mettere in difficoltà anche i più grandi della storia del gioco. E c'è poi il Thiem svuotato - e successivamente rotto - palesatosi proprio nel momento dell'apice, in quel picco che in realtà sembrava solo l'inizio di una serie di scalate di successo. Già perché proprio da quel sofferto traguardo raggiunto allo US Open 2020 al termine di una finale oggettivamente bruttina e qualitativamente scadente, figlia delle pressioni di un'occasione unica di un torneo totalmente anomalo già al di là del contesto sugli spalti - il primo Slam dal 1999 senza Federer e Nadal e dove il favorito Novak Djokovic venne squalificato per una pallata a una giudice di linea -, Thiem si spense.

L'austriaco, nel giro di un nulla, si ritrovò svuotato. O meglio: consumato. Consumato dagli sforzi fisici e psicologici necessari per rimanere così a lungo a quel livello di eccellenza caratteristica minima necessaria per competere sul serio contro i fenomeni che hanno riscritto i record della disciplina. Lo stesso Thiem definì la sua condizione psicologica, poco tempo dopo, come uno stato depressivo: “Sono finito in un buco nero, vedremo se riuscirò a uscirne”; “Ho bisogno di allontanarmi, preferisco stare a casa”; “Mi sento vuoto”. Status da cui l'austriaco ha a lungo faticato per venirne fuori e che, per certi versi, continua ancora oggi a lasciare dei segni, come sembrano in qualche modo indicarci le recenti parole sull'attenzione cui sarà sottoposto in questi giorni a Vienna: "Negli ultimi quattro anni ho dedicato molto tempo al tema della salute mentale per capire cosa mi aiutasse. Per esempio, la meditazione, e ho letto molto in generale. Ho imparato a passare più tempo lontano dai riflettori quando la situazione diventa eccessiva. Questo mi aiuta, perché si prova una certa sensazione quando c’è un rischio per me. Da quando faccio di più per me stesso, le cose sono migliorate molto. A volte però l’attenzione è davvero tanta e capita che io non riesca anche a godermela. A Vienna sarà di nuovo molto impegnativo".

Testa, dunque. Ma non solo. In questo arco temporale, naturalmente, anche il fisico. In primis, da quel famigerato US Open trionfale, i problemi al ginocchio destro di inizio 2021. Poi, anche e soprattutto, quelli al polso destro. Quel polso che a un certo punto non è semplicemente più stato lo stesso; quello che ha principalmente contribuito all'involuzione del Thiem professionista, trasformatosi da fenomenale atleta in grado di fare cose speciali sul campo a 'uno dei tanti'. Sì perché passare dall'essere uno dei più potenti tennisti al mondo a un giocatore costretto a snaturarsi, costretto a modificare il suo gioco per compensare un fisico che non è più in grado di rispondere più agli stimoli di una volta, è stato un processo involutivo a cui Thiem non è stato in grado di trovare soluzioni. E così, quella seconda parte di carriera che sarebbe dovuta essere sfavillante, non è in realtà quasi esistita. Dopo la sconfitta con Medvedev alle ATP Finals 2020 - ultimo culmine della sua carriera - Thiem ha giocato due finali in quattro anni: una al Challenger di Rennes nel 2022 e l'altra a Kitzbuhel nel 2023. Entrambe perse nettamente. Fotografia brutale, crudissima, dello spaccato di realtà con cui Thiem ha dovuto convivere dopo il suo picco: i margini del tennis.

Dominic Thiem consolé par Rafael Nadal à Roland-Garros en 2019

Credit Foto Getty Images

L'austriaco però, oggi, nei suoi saluti, pare sereno. Qualche giorno fa ha disputato proprio a Vienna un'esibizione con il suo amico Zverev, remake di quella 'drammatica' finale di Flushing Meadows 2020, lasciando in eredità parole che sembrano suonare come una sorta di insegnamento ai più giovani: "Pensavo che vincere uno Slam mi avrebbe cambiato la vita e mi avrebbe reso felice per sempre, ma non è così. La verità è che non è cambiato nulla. E onestamente, se tra 20 anni sarò ancora qui, a nessuno importerà se sarò un giocatore che ha vinto una prova dello slam o meno. È molto bello avere quel trofeo a casa, ma alla fine è solo un trofeo; non dovrebbe fare la differenza nella vita. Vorrei essere ricordato come un giocatore corretto e gentile, ma anche come qualcuno di divertente da guardare giocare. Ma soprattutto spero di essere stato un’ispirazione per molti bambini. Il consiglio che do ai più giovani è quello di godersi il percorso. Perché quando subentra la pressione diventa più difficile giocare solo per il gusto di farlo".

In queste ultime parole, probabilmente, tutta la straordinaria eredità di Dominic Thiem: un campione fragile.

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