Lo tsunami nell'oceano Indiano, vent'anni fa - Il Post

15 ore ago
Un terremoto e il successivo maremoto del 26 dicembre 2004 causarono decine di migliaia di morti tra Indonesia, India, Thailandia e Sri Lanka

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Tsunami 2004 - Figure 1
Foto Il Post

Il 26 dicembre del 2004 al largo delle coste di Sumatra, in Indonesia, ci fu uno dei più forti terremoti mai registrati: la scossa, di magnitudo 9.1, durò diversi minuti, e causò un maremoto che colpì migliaia di chilometri di coste in tutto l’oceano Indiano. Morirono circa 230mila persone, la maggior parte in Indonesia, anche a causa dell’inefficienza nei sistemi di allarme.

Quello che si verificò vent’anni fa è il più forte terremoto registrato nel Ventunesimo secolo, seguito da quello in Giappone nel 2011, ed è uno dei disastri naturali ad aver causato più morti nell’ultimo secolo, anche per via del gran numero di persone che vivevano (e vivono tuttora) nelle zone interessate. Fra le persone coinvolte ci furono migliaia di turisti stranieri, soprattutto in Thailandia, fra cui 54 italiani.

Tutto iniziò attorno alle 8 ora locale, quando in Italia erano le due di notte. Una faglia sottomarina si fratturò per circa 1.200 chilometri, e le scosse causarono una serie di innalzamenti del fondale marino che generarono onde enormi. I primi tsunami arrivarono sulla costa indonesiana appena 15 minuti dopo il terremoto, mentre le coste più lontane continuarono a esserne interessate per le ore seguenti. Le onde arrivarono fino alle coste dell’Africa orientale.

Solo in Indonesia morirono circa 170mila persone, soprattutto nella regione settentrionale di Aceh, quella più vicina all’epicentro del terremoto. Sia lì che nelle vicine isole Andamane, governate dall’India, villaggi e perfino città vennero praticamente rasi al suolo. Le onde raggiunsero poi la Thailandia (dove morirono circa 5mila persone), lo Sri Lanka (dove ne morirono circa 30mila, e i soccorsi furono complicati dalla guerra civile allora in corso) e l’India (dove ci furono circa 15mila fra morti e dispersi). Ci furono danni ingenti anche alle Maldive, un arcipelago di isole poco elevate. La Malaysia, pur essendo molto vicina al punto di origine del terremoto, fu invece riparata dalle onde grazie alla conformazione delle coste.

Oltre alle persone morte fra le macerie degli edifici crollati oppure annegate a causa delle onde, molte altre morirono nei giorni successivi a causa della mancanza di cibo, acqua potabile e cure mediche. Le strade distrutte isolarono ampi territori, che per giorni non poterono essere raggiunti dai soccorsi. A causa di queste difficoltà fu molto difficile calcolare il numero dei dispersi, ed è anche per questo che è impossibile sapere il numero reale delle persone morte a causa dello tsunami.

Gran parte dei centri abitati coinvolti era abitata principalmente da pescatori, non aveva grandi risorse né infrastrutture e fu danneggiata molto gravemente. In molti casi ci vollero settimane per ripulire le strade, estrarre i corpi dalle macerie o anche solo per bruciare o seppellire i cadaveri già recuperati.

La risposta internazionale contribuì comunque ad attutire notevolmente le possibili conseguenze dello tsunami. In totale ai paesi colpiti fu donato l’equivalente di oltre 13 miliardi di euro, da parte di governi, associazioni internazionali e singoli individui. Le raccolte fondi registrarono in molti paesi una partecipazione con pochi precedenti nella storia delle iniziative benefiche, anche grazie all’uso di Internet e degli SMS, che al tempo si stavano diffondendo in massa.

L’impatto dello tsunami del 2004 fu devastante anche a causa della mancanza di sistemi di allarme e di procedure di emergenza.

Proprio a partire da quell’evento si intensificarono moltissimo gli sforzi internazionali per introdurre nuovi sistemi e migliorare quelli esistenti. Le misure includono gruppi di boe che rilevano le variazioni di pressione al largo, sui fondali, e possono quindi segnalare la nascita di uno tsunami entro pochi minuti, prima che raggiunga la costa; comprendono anche campagne per informare le popolazioni delle zone a rischio dei comportamenti da seguire in caso di allarme.

– Leggi anche: Quelli che scoprono i paleotsunami

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