Il rapporto sempre solido tra Meloni e Netanyahu in crisi per gli attacchi alla missione Unifil
Domenica pomeriggio. Giorgia Meloni chiama Benjamin Netanyahu. Una telefonata breve. I toni sono freddi. La tensione è evidente. Quasi gelo. Sono ore complicate. Al confine tra il sud del Libano e il nord di Israele si registra il quarto "incidente" in quattro giorni tra l'Unifil e le Idf, le forze di difesa israeliane. La premier sente il Quirinale, Esteri, Difesa. Poi a prende il telefono e manda al primo ministro israeliano "tre messaggi" inequivicabili. Uno: gli attacchi all'Unifil sono «inaccettabili». Due: la missione dell'Onu «non si ritira». Tre: va garantita la sicurezza di tutto il personale. Netanhayu ascolta. E, ancora una volta, mostra totale inflessibilità. Come dimostra quanto scritto dal suo ufficio nelle ore successive: dopo le «atrocità del 7 ottobre, Israele non permetterà mai più a un'organizzazione terroristica genocida di avvicinarsi ai nostri confini. Né a Gaza né in Libano». Poi, nelle conversazioni più riservate, spiega. Uno: gli israeliani «non vogliono fare la guerra» a Unifil, vogliono solo creare «una fascia di sicurezza di 5-6 chilometri» per evitare che Hezbollah, che si nasconde dietro gli avamposti della missione Onu, continui ad attaccare le Idf.
La tensione sale ancora. Il primo ministro israeliano esprime «rammarico» per i danni di questi giorni e assicura che «Israele farà tutto il possibile per impedire che l'Unifil subisca vittime», ma riafferma che «farà tutto il necessario per vincere la guerra». E attacca con un nemmeno troppo velato riferimento a Emmanuel Macron ed alla sua proposta di fermare l'invio di armi a Israele: «Purtroppo diversi leader europei stanno esercitando pressioni nella direzione sbagliata». I particolari sulla telefonata si accavallano. Meloni continua a insistere sulla necessità di una immediata de-escalation. Netanyahu riferisce a Meloni dell'appello che ha rivolto nella mattina di domenica al segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres: «È arrivato il momento che le forze dell'Unifil si ritirino dalle roccaforti di Hezbollah e dalle zone dei combattimenti». Le Idf «lo hanno chiesto ripetutamente e si sono scontrate con ripetuti rifiuti», cosa che ha permesso ai «terroristi di Hezbollah di usare l'Unifil come copertura e scudo umano».
Sono ore anche di decisioni. Dal Palazzo di Vetro arriva la scontata conferma: non esiste ipotesi di un ritiro della missione Unifil. Si lavora per cercare una complicatissima soluzione. Meloni rinnova l'impegno dell'Italia per Unifil, dicendosi convinta che attraverso la piena applicazione della risoluzione 1701 si possa contribuire alla stabilizzazione del confine israelo-libanese e garantire il ritorno a casa di tutti gli sfollati. «Il problema - affermano fonti informate alle agenzie di stampa - non è tra Italia e Israele, ma tra l'Onu e Israele», un rapporto fatto di tensioni e reciproche accuse culminato nei giorni scorsi con la definizione di Antonio Guterres «persona non grata». Intanto il ministro della Difesa Guido Crosetto è intervenuto di nuovo, denunciando la «grave violazione», chiedendo «al capo di Stato maggiore, generale Luciano Portolano, di mettersi in contatto con il suo omologo, il generale Herzi Halevi, per ribadire la necessità di evitare ulteriori azioni ostili». L'indignazione sale anche tra le opposizioni e Schlein e Conte parlano a una sola voce chiedendo di fermare la vendita di armi a Israele e di riconoscere lo Stato di Palestina. I due leader delle opposizioni incalzano il governo: non basta lo sdegno, Netanyahu va fermato, le sue azioni criminali non possono essere più tollerate.