Vittorio De Sica, uno sguardo sull'uomo che parla al cuore
Sono passati esattamente cinquant’anni dalla morte di questo grande attore e regista, maestro del genere neorealista tanto amato da Papa Francesco. Monsignor Dario Edoardo Viganò: il neorealismo insegna a guardare la realtà con occhi nuovi
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Ci sono nomi di attori e registi che hanno fatto il giro del mondo insieme ai loro film. Quello di Vittorio de Sica, morto il 13 novembre del 1974, è indissolubilmente legato al neorealismo, un modo di pensare e di fare il cinema fiorito in Italia nel secondo dopoguerra per rappresentare la realtà e i suoi problemi mettendo al centro la gente comune. Sul grande schermo vengono rappresentate le vicende della vita quotidiana nella loro autenticità.
Istantanee sulla società nel dopoguerraLa lunghissima carriera di attore di Vittorio De Sica si snoda attraverso più di 150 film. Quella di regista è impressa in 36 lungometraggi. Con le sue opere questo grande maestro della settima arte, che ha vinto quattro premi Oscar, ha scritto la storia del cinema italiano e mondiale. Nato a Sora nel 1901, in provincia di Frosinone, nelle sue opere ha dato luce soprattutto ad aspetti amari e drammatici della società raccontando personaggi e paesaggi nella loro dimensione reale, inseriti nelle difficili cornici di piaghe come la povertà e la disoccupazione. Il film “Sciuscià”, diretto nel 1946 e recitato soprattutto da attori non professionisti, è la storia di due ragazzi lustrascarpe messi ai margini del tessuto sociale e attratti dai miraggi del benessere. È ambientata nel periodo post bellico anche la storica pellicola “Ladri di biciclette”, da cui emerge uno spaccato della vita in Italia nel dopoguerra. La lunga, disperata, passeggiata del protagonista alla ricerca della sua bicicletta getta luce su drammi interiori e piccoli eroismi. Un’altra pietra miliare del neorealismo è il film “Il giardino dei Finzi Contini”, diretto da Vittorio De Sica nel 1970 a ambientato a Ferrara nel periodo delle leggi razziali: è il racconto della decadenza di una famiglia ebrea in una città ormai dominata dal pensiero fascista.
I valori umani delle opere di De SicaDalla produzione cinematografica di De Sica emergono valori umani presenti anche nel cristianesimo. Con queste parole, il 22 dicembre del 1944, l’Osservatore Romano, recensisce il film “La porta del cielo”, prodotto dall’Azione cattolica e girato nel 1944 in una Roma “citta aperta” e occupata dai tedeschi. Si tratta, scrive il quotidiano della Santa Sede, di una pellicola “di grande efficacia morale, artistica e tecnica”. Il film era stato proiettato la sera prima nella sede del Planetario. Tra le persone presenti in sala, per quella speciale proiezione organizzata a ridosso del primo Natale di Roma dopo la liberazione dal nazifascismo, c’erano anche Vittorio De Sica e lo sceneggiatore Cesare Zavattini. Ma in sala era presente, secondo le cronache, tra gli altri, anche l'allora sostituto alla Segreteria di Stato, Giovanni Battista Montini.
Con gli occhi dei bambiniGli anni della seconda guerra mondiale sono inoltre la cornice di un altro film citato anche da Papa Francesco. Nel colloquio estratto dal libro “Lo sguardo: porta del cuore. Il neorealismo tra memoria e attualità” (Effatà Editrice) di monsignor Dario Edoardo Viganò, vicecancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e delle Scienze Sociali, il Pontefice si riferisce espressamente al lungometraggio del 1943 “I bambini ci guardano”. “Un film di Vittorio De Sica - sottolinea il Papa - che amo citare spesso perché è molto bello e ricco di significati. In tanti film lo sguardo neorealista è stato lo sguardo dei bambini sul mondo: uno sguardo puro, capace di captare tutto, uno sguardo limpido attraverso il quale possiamo individuare subito e con nitidezza il bene e il male”. I film di Vittorio De Sica, spiega a Vatican News monsignor Viganò, sono ancora attuali e hanno molto da insegnare.
Ascolta l'intervista a monsignor Dario Edoardo Viganò
Don Dario Viganò ricorda che i film di De Sica, e in particolare della coppia De Sica - Zavattini, offrono “una occasione di riflessione non solo alle nuove generazioni ma anche a tutti noi, soprattutto in questo contesto segnato da paure, guerre, incertezze”. “La porta del cielo” è veramente un film straordinario anche per il rapporto diretto che si era stabilito con la Santa Sede: Giovanni Battista Montini, che all’epoca lavorava in Segreteria di Stato, “per due volte si reca a far visita alla troupe, al regista allo sceneggiatore a San Paolo fuori le mura”. Questo lungometraggio, sottolinea monsignor Viganò, non cede alla “visione miracolistica della realtà”, ma il racconto su un pellegrinaggio a Loreto mette in evidenza come “la condivisione delle sofferenze permetta a ciascuno di portare con più facilità la propria”. Papa Francesco ha compreso quale sia la chiave per cui i film del neorealismo sono attuali e possono essere una “catechesi di umanità”. Il valore universale del neorealismo, secondo il Pontefice, “aiuta a rinnovare lo sguardo sul mondo”. “Quanta necessità - afferma il Papa - abbiamo oggi di imparare a guardare”. Figura chiave del neorealismo, conclude monsignor Viganò, è certamente Vittorio De Sica, un regista con uno “sguardo particolarmente significativo”. Il neorealismo, come dice Francesco, forma il cuore: "insegna a guardare la realtà con occhi nuovi".
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