Beyoncé: Cowboy Carter di country ha solo qualche chitarra

29 giorni ago
Beyonce

Per capire l'importanza di Beyoncé nella scena musicale contemporanea bastano due semplici numeri: 200 milioni di dischi venduti complessivamente in carriera e 32 Grammy Award vinti, record assoluto di sempre per una cantante. Ogni album di Queen Bey è un evento, basti pensare al successo del pluripremiato Lemonade del 2016, il suo lavoro più personale e al tempo stesso politico, di Everything Is Love del 2018 insieme al marito Jay-Z e di Renaissance del 2022, effervescente omaggio alla musica da ballo di matrice black, alla quale Beyoncé è stata introdotta da piccola da suo zio Jonny.

Anche per Cowboy Carter, disponibile da oggi in streaming, cd e vinile, l'hype era altissimo, anche perché l'album segna il debutto di Queen Bey nell'agone country, il genere più tradizionale e amato negli Stati Uniti più profondi, assai diversi dai grattacieli di New York e dalle lunghe spiagge di Los Angeles.

Nel primo singolo pubblicato a febbraio Texas Hold'em, salito ai vertici della Hot Country Songs, la regina dell'urban fa un chiaro riferimento alle radici conservatrici presenti nella storia della musica country, soprattutto per quanto riguarda il colore della pelle. «Mi sento onorata di essere la prima donna nera con il singolo numero uno nella classifica Hot Country Songs», ha scritto Beyoncé sulle sue pagine social. «Ciò non sarebbe successo senza il sostegno di ognuno di voi. La mia speranza è che tra qualche anno, la menzione della razza di un artista, in relazione alla pubblicazione di generi musicali, sarà irrilevante».

Nonostante al primo ascolto Cowboy Carter, con la chitarra acustica sempre al centro dei brani, risulti assai diverso rispetto alla cassa elettronica e alle tastiere ipertrofiche di Renaissance, per Beyoncé i due album sono in perfetta continuità: «Penso a quest’album come alla continuazione del precedente.Spero che questa musica sia vissuta come un’esperienza, che crei un altro viaggio in cui imbarcarsi chiudendo gli occhi, iniziare dal principio per non fermarsi più. Questo non è un album country. Questo è un album di Beyoncé. Questo è l’Act II Cowboy Carter, e sono orgogliosa di condividerlo con tutti voi».

Da sempre il motto dell'ambiziosa ex leader delle Destiny's Child è "make it big" e anche per la sua ultima fatica Beyoncé ha fatto le cose in grande, a partire dalla durata extralarge dell'album, con 27 brani e 80 minuti di durata. Un po' troppi per essere ascoltato dall'inizio alla fine,ma si sa che, nell'epoca dello streaming, più brani si pubblicano e più c'è la possibilità per i big di monopolizzare le classifiche dei singoli con numerosi pezzi tra le prime 30 posizioni, cui seguiranno comunicati stampa entusiastici del tipo "Tizio ha 16 brani tra i primi 20" o "Caio ha 24 canzoni tra le prime 30 di Billboard Hot 100". Nel music biz di oggi, dove si tende a pubblicare album in grado di intercettare più tipi di pubblici contemporaneamente, il genere è usato dagli utenti soprattutto per cercare playlist più adatte a un certo mood sonoro o a un determinato momento della giornata. In questo senso, l'album country di Beyoncé è una geniale trovata di marketing, a partire dalla copertina con la cantante vestita da cowgirl sopra un cavallo bianco, che sventola la bandiera degli Usa: considerando quanto il mondo del country sia chiuso e autoreferenziale, è ovvio che un album del genere verrà visto come il fumo negli occhi dai custodi della tradizione musicale di Nashville. Essendo texana di Houston, la musica country ha fatto sempre parte della vita di Beyoncé. In un post su Instagram della scorsa settimana, la cantante ha scritto che il suo nuovo album è «nato da un'esperienza che ho avuto anni fa in cui non mi sono sentita accolta», riferendosi alla sua apparizione ai Country Music Awards 2016, dove ha eseguito la sua canzone Daddy Lessons con The Chicks (allora conosciuta come Dixie Chicks).

In realtà di country, in Cowboy Carter, ce n'è poco, giusto qualche chitarra acustica, qualche banjo (come nel fortunato singolo Texas Hold'em) e ospiti come Willie Nelson e Dolly Parton, due campioni assoluti del genere, che qui, però, appaiono spaesati e fuori contesto, come due che si ritrovano per sbaglio a una festa in cui non erano stati invitati. L'album si divide musicalmente in due parti: la prima (da American Requiem a Jolene) più acustica e country in senso lato; la seconda, a partire da Spaghetti (!), più urban, soft-rock, perfino rap. Sorprende la scelta di collocare come secondo brano, dopo la suggestiva intro di American Requiem, una cover di Blackbird dei Beatles. In realtà Paul McCartney scrisse quella splendida canzone ispirato dalle discriminazioni che subirono nove studenti neri nel 1957 dopo essersi iscritti alla scuola superiore di Little Rock(frequentata quasi esclusivamente da bianchi): un messaggio antirazzista che ha perfettamente senso in un album che vuole coniugare la black culture con il country. Non è un caso che come primo singolo sia stata scelta la travolgente Texas Hold'em, la canzone più allegra, immediata e pronta per la line-dance, mentre l'ambiziosa 16 Carriages è una canzone cadenzata, potente ed evocativa, nella quale Beyonce utilizza un cantato quasi rap sopra una melodia epica. Funzionano bene le collaborazioni con Willie Jones in Just for Fun, Post Malone in Levii's Jeans e Miley Cyrus in II Most Wanted, che cattura brillantemente lo spirito dell'amore giovanile e l'idea di vivere il momento presente. Merita una citazione a parte la cover di Jolene insieme a Dolly Parton, che la regina del country ha chiesto pubblicamente a Beyoncé di registrare da anni, resa più contemporanea da un nuovo middle Eight, da una nuova coda e da un testo più minaccioso rispetto alla disperata supplica dell'originale. La serena e bucolica Protector si apre con una tenera richiesta della figlia Rumi, che chiede alla mamma di ascoltare una ninna nanna. Beyoncé tira fuori tutta la sua grinta in Daughter, con una narrazione tesa che tocca i temi della vendetta, dell'immagine di sé e dell'eredità. Riverdance è un sorprendente brano dance-country, con un ottimo potenziale radiofonico, Ya Ya è un modern soul che tocca i temi dell'identità, della lotta e della sopravvivenza americana, mentre convince di meno l'obliqua Sweet ★ Honey ★ Buckin, in cui il tocco magico di Pharrell Williams funziona meno che in passato. Lo sforzo produttivo, dietro a un album-kolossal come Cowboy Carter, è stato titanico, con oltre 50 tra autori e produttori coinvolti, anche se, come spesso capita, il numero di persone coinvolte è inversamente proporzionale alla freschezza e alla spontaneità dei brani, che è da sempre il cuore della musica country, magari non raffinatissima nelle produzioni, ma profondamente "real" e cruda.

Ascoltando l'album si avverte la sensazione che ogni suono, ogni strumento, ogni testo sia stato analizzato, soppesato e infine approvato dall'ampio team creativo di Beyoncé, il che, se da un lato ci restituisce un album prodotto magnificamente, dall'altro si avverte una certa mancanza di anima e spontaneità. Cowboy Carter ci offre un nuovo e sorprendente capitolo della ricca discografia di Beyoncé, le cui doti vocali sono fuori discussione, ma che, cambiando genere a ogni album, rischia di annacquare la sua identità artistica di cantante r&b di talento, che è ricordata e amata dal pubblico soprattutto per le canzoni (Halo, Crazy In Love, Single Ladies, Irreplaceable) che ha pubblicato negli anni Dieci.

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