"Su Re", la passione di Cristo raccontata in sardo da Columbu

29 giorni ago
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Nel 2012 il regista sardo Giovanni Columbu raccontò in una pellicola fortemente evocativa gli ultimi giorni della vita di un Cristo sardo, non bello, genuino

La passione di Cristo - Figure 1
Foto Sardegna Live

Di: Pietro Lavena

La passione di Cristo affascina e commuove da sempre non solo i cristiani, ma chiunque sappia cogliere l'intensità di una narrazione drammatica e vivida come quella restituita dai Vangeli sugli ultimi giorni della vita di Gesù di Nazareth.

Il tradimento di Giuda Iscariota e l'arresto nel Getsemani, il processo del Sinedrio e quello condotto da Pilato, lo scambio con Barabba, la salita di Gesù al Golgota e la morte in croce. Infine la resurrezione che si celebra nel giorno di Pasqua.

Momenti che hanno ispirato da sempre l'arte, la letteratura, il cinema. Da Pier Paolo Pasolini a William Wyler, da Franco Zeffirelli a Nicholas Ray a Mel Gibson. Le loro cineprese hanno ripercorso e riproposto quelle scene con attori e interpretazioni sempre diverse e in ogni caso straordinarie.

SU RE. Anche il regista sardo Giovanni Columbu, nel 2012, raccontò la "sua" passione nella pellicola Su Re, prodotta da Rai Cinema e Luches e distribuita dalla Sacher Distribuzione di Nanni Moretti che rimase affascinato dal progetto del collega sardo. Un titolo classico e potente, "Il Re", per un lungometraggio della durata di 80 minuti interamente girato in Sardegna con attori sardi e in lingua sarda. Il regista nuorese, classe 1949, tornava alla regia undici anni dopo il grande successo di Arcipelaghi (2001) 

IL CAST. Gli attori erano tutti non professionisti, nessun accademico del cinema, ma tutti, sottolineò Columbu, avevano "una predisposizione straordinaria alla recitazione". Provenivano da aree diverse dell'Isola e parlavano diverse declinazioni della lingua sarda.

Fiorenzo Mattu interpretò Gesù, Pietrina Menneas era Maria, Tonino Murgia il sommo sacerdote Caifa, Paolo Pillonca vestiva i panni di Ponzio Pilato, Antonio Forma era Giuda, Luca Todde l'apostolo Pietro, Giovanni Frau interpretava Giovanni, Bruno Petretto era Giuseppe d'Arimatea, l'uomo che si occupò di dare sepoltura al corpo di Gesù. Altri interpreti provenivano da centri di salute mentale. "Di questi mi ha molto colpito il modo di partecipare a un accadimento - raccontò il regista -. Assistono rivolgendo lo sguardo altrove o con gli occhi bassi o come rivolti dentro se stessi, quasi che quell’accadimento lo stessero vivendo interiormente". 

Oltre 400 i costumi di scena rintracciati sul campo e curati in collaborazione con il Teatro Lirico di Cagliari. Le fogge sarde dei mantelli di lana e orbace e delle gonne di velluto si affiancavano così alle armature romane contribuendo a creare un'ambientazione indefinita e fitta di contaminazioni.

LA TRAMA. Il film, che prende spunto dai Vangeli, racconta gli ultimi giorni della vita di Gesù rivisitati e ambientati nei paesaggi brulli e pietrosi del centro Sardegna, resi cupi e angoscianti da una sapiente regia. La storia inizia con Maria in lacrime, accasciata sul corpo del figlio ormai morto nel sepolcro. Il racconto, attraverso una serie di balzi a ritroso e attraverso sogni o ricordi dei personaggi, traccia il percorso che ha portato al tradimento del Maestro da parte di Giuda. Poi il processo, Pietro che rinnega Gesù tre volte, la condanna del popolo, il lungo cammino verso il colle dove sarà issata la croce che in questo caso è il monte Corrasi di Oliena. Infine la crocifissione tra le urla dei nemici e il silenzio attonito delle donne che assistono a uno dei momenti più significativi della storia dell'uomo.

IL PROGETTO. Columbu, spiegando la genesi e la realizzazione del progetto attraverso le note di regia fornite in occasione della partecipazione di Su Re in concorso al Torino Film Festival 2012, scrisse: "L’idea di questo film risale a diversi anni fa. Mi trovavo a Roma, nella chiesa di Santa Maria in via Lata, e fui colpito da una tavola che riportava su quattro colonne i brani dei Vangeli che descrivono i patimenti inflitti a Gesù. Quelle descrizioni mi fecero pensare a diversi testimoni che avessero visto e poi raccontato lo stesso fatto in base alla propria percezione. Lo stile impersonale dei singoli testi sembrava trasformarsi, rinviare ai raccontatori e rivelare il tono incerto ma ancora più verosimile di un ricordo. Provai nei giorni successivi a leggere il Vangelo trasversalmente, passando da un testo all’altro, e scoprii che il racconto assumeva un’imprevista forza drammatica".

"Come mai in precedenza - spiegò ancora Giovanni Columbu - avvertii il dolore della tragedia che si narrava e la sofferta esperienza di tutte le umane vicissitudini. Fu allora che pensai a un film sul Vangelo, in cui le scene si ripetessero, quasi come nel Rashômon (1950) di Kurosawa. Avrei trasposto la storia in Sardegna, perché è il mondo che amo e che meglio conosco, permeato di valori che in certi casi sembrano rifarsi all’Antico piuttosto che al Nuovo Testamento. Due universi molto distanti nello spazio e nel tempo si sarebbero incontrati, senza stupirsi l’uno dell’altro, trovando riscontro nella realtà di quel sogno che è nell’animo di molti, scoprire Gesù, qui, tra noi".

"Nel corso della realizzazione, confrontando il progetto con gli esiti che man mano emergevano, l’idea dei “passi paralleli” riferiti ai singoli evangelisti ha lasciato il posto a un’idea forse meno ambiziosa ma altrettanto affascinante, quella di un sogno, in cui gli accadimenti si ripropongono nella loro perdurante drammaticità e in una sequenza non lineare. Ha invece preso risalto l’idea della trasposizione in Sardegna: un’idea che ha un precedente nella pittura più che nel cinema".

IL FILM. Modificandone le coordinate geografiche, Columbu racconta fatti storici sotto una luce nuova e da un punto di vista inedito e originale. Il Cristo non ricalca i canoni della raffigurazione pittorica, iconografica e cinematografica tradizionale. Il volto di Fiorenzo Mattu, come quello di altri attori, è "sporco" di verità, scavato, livido, ispido. Non bello. "Una scelta che forse scatenerà discussioni a priori, ma non penso a posteriori - prevedeva Columbu intervistato durante le riprese -. Se fosse stata una scelta di provocazione non l'avrei fatta. Al contrario, è una scelta che sta dentro lo spirito del Vangelo e di una lettura che trova rispondenza: quella di un Messia che non ha beltà che possa suscitare compiacimento ai nostri occhi, come dice Isaia nella sua profezia, unico passo biblico in cui c'è una descrizione di Gesù". 

"Maria - aggiungeva Columbu - è madre mediterranea, dolorosa e piangente ma anche orgogliosa e forte, interprete di un inesorabile principio di giustizia". 

Il regista nuorese lavorò per anni alla sceneggiatura ma, una volta sul set, la sceneggiatura si era ridotta a pochi appunti. "Ci limitavamo a leggere un passo del Vangelo, davo delle istruzioni e procedevamo con la messa in scena. Nessuna prova, per non perdere la freschezza. A volte introducevo un cambio delle battute o uno sviluppo delle azioni, per costringere gli attori a improvvisare e interagire. Oppure, per fare crescere la tensione, senza preavviso, domandavo cose che sapevo essere più o meno impossibili, come proseguire la recitazione senza usare parole. E le emozioni dovevano crescere, anche per l’impossibilità di parlare, e se possibile diventare incontenibili".

Un metodo di lavoro quasi di avanguardia, dove gli operatori dovevano riprendere tutto, senza tagli, come di fronte a un accadimento reale, facendo del film un documentario più che una messa in scena. Il risultato finale portò sullo schermo immagini che non cercavano mai la leziosità stilistica ma, al contrario, erano spesso volutamente imperfette, ruvide e proprio per questo convincenti. L'utilizzo della lingua sarda, come l'aramaico proposto in The Passion di Mel Gibson, donò al lungometraggio un'ulteriore misteriosa asprezza che, tutt'oggi, rende la visione di Su Re un'esperienza totalizzante e profondamente singolare.

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