La poesia del lusso nella sfilata Bottega Veneta Autunno Inverno ...

Cactus in vetro di Murano come appendice di défilé. Simbologia di eccellenza artigianale, nonché semiotica di forza e resistenza di un vestire che rifugge dagli eccessi senza tuttavia mostrarsi dimesso. È una poesia coerente quella di Bottega Veneta; uno stile solido che stagione dopo stagione si arricchisce di un lusso intelligente che fa leva su capi dall’estetica mai bizzosa, belli perché squisitamente confezionati, intriganti perché custodi di un’eccellenza del saper fare che non ha bisogno di altro se non di se stessa per rivelarsi ed essere desiderabile. Tant’è che, erroneamente, quell’illusorio insieme di jeans e top – potentissima dichiarazione d’intenti dell’allora neo-direttore creativo Matthieu Blazy – appariva banale, un due pezzi sempliciotto eletto a vessillo di nauseante quiet luxury. E invece era tecnica, perizia; era ingegno nello stampare con l’inchiostro la pelle a ricreare l’effetto di capi casual trasfigurati in divertissement sperimentale e indossabile. Era la cifra di un designer con il gusto architettonico della progettazione e con la manualità di un artigiano che tratta le texture con fare eterodosso, sminuzzando la pelle a produrne false pellicce, o dipingendo gli abiti come in preda ad un dripping furioso à la Jackson Pollock, in realtà una “stampa della memoria” come chiama Blazy quel mosaico scomposto di quaderni, mappe e francobolli incastonati nelle trame dei capi all’apparenza dipinti.

E l’abilità è tutta qui; condensata in una camicia malamente accomodata e una gonna in pelle, in un coat azzurro sagomato ad arte e in un plissé che sembra “facile”, come quello delle ballerine a teatro che condensano rigore e disciplina senza mostrar fatica, in un atto di grazia e passione qui trasposto su stoffa. E diventa quasi superfluo inventariare i look; le stratificazioni di mastodontici trench, gli scontri materici tra lane spesse e rigide e il camoscio sinuoso di una longuette svolazzante.

O raccontare di quel tessuto che pare forgiato da fiamma viva, spettacolo visivo a stamparsi su incendiarie long skirt, altrove dalla stoffa irta e filamentosa a ricordare le fioriture sterili dei cactus. Si ibridano i codici di lei con quelli di lui, in un atto che riduce sì, ma non al minimo, bensì al massimo, in una celebrazione del quotidiano che ha qui il sapore dello straordinario.

Bottega Veneta Autunno Inverno 2024 2025, ovvero la poesia di un lusso legato a doppio filo con autenticità, qualità e durabilità. Gli stessi valori portati da quei grandi cactus realizzati a mano sull’isola di Murano che compaiono oggi in qualità di co-protagonisti del romanzo deluxe della maison vicentina, portatori sani di adattabilità e resilienza, metafora di vita pur in ambienti aridi e desertici. “È una prova del fuoco che viene superata”, racconta infatti Blazy, da sempre uno sguardo aperto sul mondo dell’arte a tradursi in setting di passerella a dir poco suggestivi. “Gli sgabelli LC14 Cabanon di Le Corbusier sono tutti bruciati a mano”, continua il designer spiegando le sedute d’artista per i suoi ospiti, tra cui Kate Moss, Julianne Moore e ASAP Rocky. “In origine, lo sgabello era una scatola di whisky che l’architetto aveva trovato e riutilizzato; un oggetto pragmatico che è diventato leggenda”.

Proprio come la moda di Bottega Veneta, così lontana dalle esagerazioni eppure così vicina al sublime, così fedele a se stessa e così eclettica poiché in fondo “Niente si ripete, come l’Intrecciato. L’eleganza è nella semplicità, nell’onestà e nella resistenza”. Oggi più che mai.

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