Halloween e la banalizzazione dell'orrore

Per fortuna il 31 è una vigilia, e questo significa che racchiude in sé il germe di una possibilità diversa: è possibile vivere senza maschere, aprire gli occhi, farsi ferire il cuore dalla morte e dall’amore, e iniziare a essere davvero umani. Che tutto questo sia possibile ce lo dimostrano la vita e la morte di ogni singolo Santo, e domani ce lo ricorderanno tutti insieme, in un coro di tifo e di speranza per noi che la nostra vera fisionomia non l’abbiamo ancora raggiunta

(Foto AFP/SIR)

L’ondata di massacri che sta inondando con fiumi di sangue il mondo, ultimamente in particolare dall’Ucraina alla striscia di Gaza (cioè mezzo mondo), ha fatto interrogare più di un quotidiano circa l’opportunità o meno di festeggiare Halloween quest’anno: sentiamo davvero così tanto la necessità di orrori fittizi che stemperino quelli reali?

Molto opportunamente se lo chiede, ad esempio, Stefano Massini su La Repubblica in un articolo del 29 ottobre intitolato “La prevalenza di Halloween nell’epoca della morte-show”; ripensando alle feste dei morti di quando era bambino scrive: “L’eccezionalità stava nel fatto che in quella vigilia di Ognissanti si osava sorridere sul commiato, concedendosi l’azzardo liberatorio di giocarvi sopra per una notte, consapevoli che all’alba del giorno dopo la licenza sarebbe rientrata, lasciando il posto alla realtà e ai suoi perimetri… Mi spieghi quindi qualcuno che senso ha adesso Halloween, se tutto intorno la morte è un cabaret”.

Una finzione di orrori che può facilmente scivolare nel ritenere quelli veri, di orrori, quasi una finzione, filtrati come sono, come sempre, dall’incantesimo degli schermi luminosi, dei numeri astratti, e del sospetto crescente (bella novità dell’ultimo periodo) che tutto quello che vediamo non sia in effetti come sembra, ma sia stato ritoccato (o creato) dall’intelligenza artificiale – solo che a volte è vero, a volte no, e come si fa a sapere?

Così alla fine si sdogana tutto, e ti ritrovi, scorrendo col ditino un post dopo l’altro, massacri veri che si alternano a massacri finti, foto tratte da film dell’orrore che seguono e precedono foto di orrori che scambi per film, in una costante e crescente banalizzazione del visibile che ci rende indifferenti e privi di empatia: metti una faccina triste sotto la foto di bambini bombardati, se sei particolarmente eroico e impegnato nel sociale addirittura condividi il post, e poi via, la vita è un’altra cosa – la tua vita è un’altra cosa. Per ora…

Purtroppo la banalizzazione della morte e dei morti non è un problema di una sola notte all’anno, ma corre di pari passo a quella del sesso dovuta alla sovraesposizione pornografica: stiamo ammazzando eros e thanatos, amore e morte, le due forze fondamentali che guidano la realtà, e il risultato siamo noi, l’umanità apatica del dopo-Covid, che parla solo di dove andare a mangiare e delle serie che vale la pena vedere, costantemente alla periferia di se stessa fino a quando la prossima tragedia non sarà abbastanza vicina (non solo virtualmente) da produrre un temporaneo risveglio.

Ma sì, forse Halloween un po’ si capisce, perché descrive non un giorno all’anno speciale solo per i nerd e i fattucchieri, bensì la vita di ogni giorno, in cui un’umanità celata dalle brutte maschere dei suoi fantasmi interiori si aggira nella notte del mondo, rivendicando un po’ di dolcezza che alla fine la stomacherà.

Per fortuna il 31 è anche una vigilia, e questo significa che racchiude in sé il germe di una possibilità diversa: è possibile vivere senza maschere, aprire gli occhi, farsi ferire il cuore dalla morte e dall’amore, e iniziare a essere davvero umani. Che tutto questo sia possibile ce lo dimostrano la vita e la morte di ogni singolo Santo, e domani ce lo ricorderanno tutti insieme, in un coro di tifo e di speranza per noi che la nostra vera fisionomia non l’abbiamo ancora raggiunta.

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