Il diritto di contare e la vera storia del trio femminile che ha ...
La vera storia di tre donne che, in un ambiente quasi del tutto ostile, sono riuscite a cambiare il destino e i successi della NASA
In onda questa sera alle 21.30 su Rai 1, Il diritto di contare è un film che racconta un'incredibile storia vera e che ha ricevuto delle nomination ai Premi Oscar del 2018, tra cui Miglior Film, Miglior Attrice Non Protagonista a Octavia Spencer e Miglior Sceneggiatura Non Originale. Quest'ultima nomination, in particolare, è legata al fatto che il film diretto da Theodore Melfi sia tratto dall'omonimo romanzo di Margot Lee Shetterly, che racconta appunto la vera carriera di Katherine Johnson.
Ecco di cosa parla il diritto di contareAll'inizio degli anni Sessanta, quando la Guerra Fredda è l'argomento principale della politica statunitense, la NASA punta a conquistare lo spazio. Questo soprattutto perché la Russia è già riuscita a conquistare il primo volo spaziale, agguantando un record che rischia di mettere in ombra gli Stati Uniti d'America. Alla Nasa lavorano Katherine Johnson (Taraji P. Henson), Mary Jackson (Janelle Monae) e Dorothy Vaughan (Octavia Spencer). Tre donne afroamericane che lavorano in un ambiente che ancora passa attraverso la segregazione e la convinzione che le donne non possano fare lavori scientifici, che sono invece pensati esclusivamente per l'ambito maschile. Tuttavia, proprio grazie alle sue abilità di fare calcoli di geometria analitica, Katherine viene "assunta" nello Space Task Group, un dipartimento che sta organizzando il viaggio spaziale della NASA e che è guidato da Al Harrison (Kevin Costner). Mentre Dorothy è alle prese con un capo (Kirsten Dunst) che le è apertamente ostile per motivi di razza, Katherine lotterà con tutte le forze per dimostrare le sue abilità e il suo valore, in un mondo che le ha sempre chiesto di nascondersi.
La vera storia dietro il filmCome spiega anche Coming Soon, Il diritto di contare è un film che svela la propria ambizione già dal titolo e dal gioco di parole che si cela in esso. Nel titolo italiano, infatti, il verbo "contare" assume un duplice significato. Da una parte intende l'atto matematico del calcolo, dall'altro però sottolinea l'importanza di dimostrare il proprio valore, di "contare" non solo come essere umano, ma anche come professionista in un campo assolutamente elitario. Questa ambivalenza si trova ancora di più nel titolo originale dell'opera, Hidden Figures. Figure, in inglese, è un termine che indica sia un numero, sia una forma geometrica, sia la fisicità di un essere umano e indica anche una persona importante, degna d nota. Hidden, cioè nascosta, va allora ad accompagnare un termine che mette in luce l'importanza dei numeri e di coloro che li sapevano interpretare e manipolare. Le Hidden Figures del titolo sono le tre donne protagoniste, ma anche le loro scoperte scientifiche.
Si tratta di un'intuizione davvero geniale, alla base del libro da cui il film è tratto, e che si sposa bene con la vera storia delle donne che hanno cooperato a rivoluzionare la Nasa. Tutto inizia il 12 aprile 1961, quando l'astronauta sovietico Jurij Gagarin riesce ad andare nello spazio. L'uomo, a cui persino Claudio Baglioni ha dedicato un brano, con la sua navicella Vostok 1 riesce a raggiungere un record che porterà all'inasprimento della Guerra Fredda, perché gli Stati Uniti non riescono ad accettare di essere arrivati alle spalle dell'Unione Sovietica in un ambito in cui pensavano di essere i primi. Per l'America inizia così una vera e propria corsa allo spazio, che porterà poi alla costruzione della capsula Friendship 7 e al viaggio del cosmonauta John Glenn che riuscirà a orbitare intorno alla Terra per ben tre volte. I nomi di questi uomini sono iscritti negli almanacchi della storia, incisi nella pietra come coloro che hanno rivoluzionato il mondo. Ma prima che venisse realizzato il film Il diritto di contare, pochi sapevano che questo risultato era legato soprattutto alla presenza di tre donne estremamente abili nel loro lavoro.
Come si legge sul sito stesso della Nasa le tre donne lavoravano nella zona dedicata alle persone afroamericane nella West Area Computing Unit: quando questa venne chiusa, tutte e tre si trovarono a dover lavorare in un contesto molto più competitivo, dove non potevano "nascondersi". Il loro talento le portò a inimicarsi molti colleghi, che vivevano nel pregiudizio che tre persone nere, per di più donne, non potevano essere all'altezza degli standard richiesti dalla Nasa per combattere il successo dell'Unione Sovietica. Nel 1962, però, Katherine Johnson verrà chiamata a fare il lavoro per cui diventerà famosa tra gli scienziati. La missione che avrebbe portato John Glenn nello spazio era molto delicata e difficile e il volo orbitale richiedeva un calcolo preciso sia per assicurare la salvaguardia dell'astronauta sia per comunicare con la Terra una volta in orbita. Fu proprio John Glenn a chiedere che i calcoli venissero rifatti da una mano umana e non affidati a un semplice computer: l'uomo trovava più rassicurante mettere la propria vita nelle mani dei suoi colleghi, rispetto a una macchina.
E come ha ricordato la stessa Johnson, fu Glenn a chiedere specificatamente che fosse lei a fare i calcoli, concludendo che "se lei dice che vanno bene (i calcoli, ndr), allora sono pronto ad andare". Ma la missione di Glenn non è l'unico traguardo che Katherine Johnson ottiene: verrà richiamata di nuovo in prima linea quando J.F. Kennedy chiede che la prima persona a mettere un piede sulla Luna sia un americano. Anche Neil Armstrong chiede, prima di partire, che i calcoli vengano fatti dalla matematica che ormai è diventata una vera e propria certezza nell'ambiente della Nasa.
Sebbene, come riporta Il Post, Johnson non ha mai davvero sentito sulla propria pelle il peso della segregazione razziale - a lei, dopotutto, interessava solo poter contare - è indubbio che lei, Dorothy Vaughan e Mary Jackson (che fu il primo ingegnere donna della Naca poi diventata Nasa) sono riuscite con la loro professionalità, il loro talento e le loro capacità ad abbattere numerosi pregiudizi. Ed è grazie a loro, dopotutto, se l'uomo è riuscito ad andare sulla Luna.