Ecco chi con la nuova Irpef 2025 pagherà più tasse. Le aliquote ...
Colpita soprattutto la fascia di reddito tra 32.000 e 40.000 euro dove l'aliquota marginale sale con la riforma al 56%, mentre a legislazione vigente risulta appena sotto il 45%
Nonostante la riduzione del numero di aliquote legali disposta con il decreto attuativo della delega, il numero delle aliquote marginali effettive aumenta, passando da 4 a 7, e il loro andamento risulta più irregolare, con valori che raggiungono il 50% per i redditi compresi tra 32.000 e 40.000 euro". E' quanto rileva l'Ufficio Parlamentare di Bilancio nel documento dell'audizione sulla manovra del 5 novembre scorso, analizzando il nuovo disegno dell'Irpef con il bonus di sostegno al reddito. La tabella non indica i valori medi applicati ma l'andamento delle aliquote di ogni singolo scaglione, quindi le aliquote 'marginali', cioè quelle che vengono applicate sull'ultima parte di reddito guadagnata dai contribuenti. Nella tabella contenuta nel documento, che riassume le aliquote marginali prima e dopo la riforma (per lavoratore dipendente senza carichi familiari), si vede come nella fascia di reddito tra 32.000 e 40.000 euro l'aliquota marginale (che è quella che si applica al reddito aggiuntivo determinato dal beneficio) sale con la riforma al 56%, mentre a legislazione vigente risulta appena sotto il 45%. Tra 28.000 e 32.000 euro, e sopra 40.000, l'aliquota marginale dopo la riforma si colloca poco sotto il 45%. Tra 20.000 e 28.000 sopra il 30% e tra 15.000 e 20.000 intorno al 27%: per entrambe le fasce meno quindi del 35% a legislazione vigente.
Tra 8.500 e 15.000 scende a circa il 18% (da circa 23%). "Tale evoluzione - osserva l'Upb - sembra discostarsi dai principi della legge delega, che indicava come obiettivi la transizione verso un'aliquota impositiva unica e la razionalizzazione e semplificazione complessiva del sistema".
Un bluff, dunque. Ma vediamo i dettagli. Innanzitutto, la riforma sulla carta: l'Irpef dovrebbe essere fissata al 23% per chi guadagna fino a 28mila euro, al 35% per chi prende da 28mila a 50mila euro, e al 43% oltre i 50mila euro. Sono in corso tentativi, soprattutto da parte di Forza Italia, di abbassare ulteriormente l'aliquota centrale (magari arrivando fino al 33%), ma dopo gli ultimi vertici di maggioranza sembra che sarà quasi impossibile riuscirci.Su questo sistema si sovrappone poi il nuovo taglio del cuneo. Fino a quest'anno, il taglio ha riguardato i contributi da versare in busta paga: questi venivano tagliati (di 7 punti fino a 25mila euro di redditi, e di 6 punti fino a 35mila euro) e lo Stato compensava la differenza in contributi in modo che la riduzione non avesse effetto sulle pensioni future. Il nuovo sistema invece prevede due meccanismi diversi: fino a 20mila euro di reddito c'è un bonus esentasse in busta paga, mentre da 20mila a 40mila euro c'è una detrazione fiscale.
Insomma, non si toccano più i contributi, ma si passa sul piano del fisco. Il bonus fino a 20mila euro è una percentuale del reddito, secondo l'Upb avrà circa 9 milioni di beneficiari e porterà in media 490 euro. In ogni caso la maggior parte dei contribuenti dovrebbero vedere poche differenze rispetto a quest'anno. Sopra i 20mila euro la questione si complica. La platea è di altri 9 milioni circa di dipendenti. Fino a 32mila euro di reddito si garantisce una detrazione fissa da mille euro, che poi scende progressivamente. E proprio questa discesa fa sì che, rispetto allo scorso anno, una fascia di lavoratori si trovi con un'Irpef di fatto molto più alta.
L'Upb, come detto in apertura, afferma chiaramente che il numero delle aliquote aumenta, passando da 4 a 7, e il loro "andamento risulta più irregolare". Il grafico inserito nel rapporto dell'Ufficio mostra poi che il livello è di circa il 56%. Infatti, nel ‘taglio del cuneo' quando la detrazione inizia a scendere lo fa rapidamente: deve passare da mille euro per chi guadagna 32mila euro, a zero per chi ne guadagna 40mila. E ogni calo è di fatto un aumento dell'Irpef da pagare. Così, in quella fascia secondo l'Upb si finisce per pagare in media un'aliquota ben più alta di quella che era in vigore lo scorso anno (senza tenere conto delle aliquote regionali e comunali, che funzionano con una logica ancora diversa). Un problema nato dalla confusione tra interventi specifici, "non inquadrati in un’ottica di equilibrio generale del sistema", che infatti "rischia di aumentare la complessità di calcolo dell’imposta rendendo il prelievo meno trasparente", e "rende infatti oggettivamente difficile per il contribuente avere una chiara percezione dell’importo da ricevere o versare". Nonostante nel complesso la riforma porti comunque "un significativo incremento della progressività".