Longlegs ha più punti in comune con Twin Peaks che con Il Silenzio ...
Quando mi hanno parlato per la prima volta di Longlegs, mi hanno detto due cose. Che non terrorizza ma ti resta addosso (e per questo alimenta incubi) e che lavora in un modo incredibile sulle sensazioni uditive.
Sono entrambe due cose vere e la seconda, in particolare, è quella che, in una delle prime scene del film, fa pensare subito al Silenzio degli Innocenti.Respiri con la protagonista e la sua ansia, poi con lei e il suo panico unito al senso del dovere, un potente dejavu che ti riporta a quando hai visto per la prima volta quel thriller a inizio anni '90. E la sensazione è anche più forte visto che ti mette in un mood di tensione pura e costante, perché nel film di Jonathan Demme a quell'immedesimazione nel terrore ci arrivavi alla fine e qui, invece, quella sensazione battezza la tua esperienza con quello che per molti è il thriller psicologico più inquietante del 2024, il film con l'interpretazione più iconica di Nicolas Cage, calato nei panni del serial killer della situazione.
Anche lui, l'assassino impossibile da prendere, un uomo che sembra più un'entità malvagia perché ci è stato nascosto, almeno in viso, in tutta la promozione del film, ci riporta a quel riferimento. La sua silhouette, appena accennata, aveva qualcosa di Buffalo Bill. Longlegs, però, si stacca presto da quel paragone, che resta nei colori dominanti di molte scene, ma poi inizia a lasciare spazio ad altro.
Non si può parlare di easter eggs, ma per certo dietro a quello che man mano entra in scena c'è un amore spassionato per il thriller psicologico, con o senza serial killer. Ci vedi Seven, Zodiac, True detective con i suoi agenti problematici, ma ci vedi tantissimo anche il mistero e il male che incombono minacciosi in quel di Twin Peaks.
Nelle parti difficili da decifrare di questo film ci trovi la magia oscura e ironica del cinema e della televisione firmati David Lynch, quel sentirsi schiacciati e asfissiati da una cappa di qualcosa che non vedi ma ce l'ha con te, quel voler indagare ma perdersi dentro se stessi o nel passato o dentro un labirinto di indizi e incontri con persone che lasciano più dubbi che certezze - le telefonate della protagonista alla madre ricordano le registrazioni dell'agente Cooper per qualcuno che non avremmo mai visto -, ma c'è anche un che di medianico, un radar per il soprannaturale che gli altri chiamano intuito che lavora veloce quanto il "crederci" di Fox Mulder in X-Files, ma in fondo ci riporta ai sogni e incubi a occhi aperti, sempre rivelatori, di Dale Cooper.
Nel suo svolgersi Longlegs raccoglie tanti brividi diversi che la fiction di cinema e di tv per la direzione di diversi autori cult ci ha regalato davanti a casi inquietanti ed è come se ce li caricasse addosso, un po' come quando si cerca di capire quante maglie si possono indossare senza finire per rimanere immobilizzati e chiusi in un'armatura morbida da omino Michelin che però non fa respirare.
Longlegs costruisce e costruisce e costruisce climax ricordando molte cose e risultando comunque a suo modo originale, ma poi, anche quando pensi di aver capito tutto e risolto tutto ti fa fare i conti con la cosa che sa fare meglio Lynch: lasciare la sensazione del male, la sensazione del soprannaturale e incomprensibile, la sensazione che qualcosa oltre muova i fili, la sensazione che c'è ancora da scavare, una sensazione di tragicamente inutile, di incapacità di sviscerare il mistero fino in fondo, di un pericolo assurdo e beffardo che ti tiene d'occhio e contro il quale sei totalmente disarmato, ma senza l'ironia di Lynch, senza il suo amore per il folle. Cosa che fa ancora più male e fa sì, che sì, Longlegs poi non ti abbandoni per un po'.
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