Ricordando Leo Chiosso. «Papà creò Fred Buscaglione, scrisse per ...

5 Nov 2023

diTimothy Ormezzano

Mina - Figure 1
Foto Corriere della Sera

Parla il figlio dell'autore per il crooner scrisse i capolavori «Che bambola», «Eri piccola così». E «Parole parole» per la Tigre di Cremona. «A mio padre adesso direi...torna! Oggi si scrivono troppe canzoni brutte»

«Eravamo io, Walter Chiari, Paolo Villaggio, Edwige Fenech, Luca Cordero di Montezemolo, Giorgio Gaber, Don Lurio...». No, non sono i teleracconti di Gianni Minà ma le memorie d’antan di Fred Chiosso, figlio di Leo, grandissimo autore delle canzoni di Fred Buscaglione, come «Che bambola» ed «Eri piccola così», e di capolavori extra come «Parole parole» di Mina. Ovviamente molto se non tutto ruota intorno all’immagine di Fred, di cui Chiosso jr porta il nome: «Mi chiamo Ferdinando detto Fred, proprio come lui. Sono nato 21 giorni dopo la sua morte». Una creatura, il rivoluzionario swinger dal whisky facile, frutto del genio di Leo Chiosso: «Costruire quel personaggio fu un prodigio di mio papà. Buscaglione era un duro che subiva le donne – dice Fred Chiosso, fotografo d’arte e scrittore –. Quelle canzoni erano molto avanti: uscirono quando in Italia si cantava “Vecchio scarpone” e “Grazie dei fiori”... Il pubblico rimase spiazzato e poi rapito. Mio papà scriveva di donne molto forti, con gli attributi, quelle che lui chiamava le uome».

Fred Chiosso, onori e oneri di portare cotanto nome e cognome.

«Il mio destino è incrociato anche a quello di Gino Latilla, che con papà e Buscaglione formava il Trio Pastiglia. Gino, per me, è stato un altro padrino. E ha contribuito molto al successo di mio padre e Fred. Nel 1953 loro due avevano scritto Tchumbala-bey, cercavano una voce più tenorile. Trovarono Gino Latilla mezzo ubriaco al Bar Normann. Andarono a casa, Fred si mise al piano et voilà: il primo successo clamoroso, prodotto dallo stesso Latilla con un gesto di riconoscenza».

Come si tiene viva la memoria?

«Per custodire il patrimonio artistico di mio padre, nel 2013, ho fondato l’Associazione Leo Chiosso. La sera di sabato 18 novembre verrà inaugurato e dedicato a mio papà l’Auditorium di Chieri: seguirà il mio spettacolo “Che notte, questa notte”, scritto nel 2020 per il centenario della sua nascita. E il 21 novembre gli verrà intitolato un bellissimo giardino all’interno della rotonda di Largo Montebello, a Torino».

Laureato in Giurisprudenza, papà Leo divenne sottotenente degli Alpini e l’8 settembre 1943 venne catturato dai tedeschi e deportato in Polonia.

«Dopo la scuola per Allievi Ufficiali a Cuneo venne trasferito a Bassano del Grappa e quindi deportato in una località polacca dal nome impronunciabile come quello di Wojciech Szczesny, il portiere della nostra amata Juve. Mio papà fu anche rugbista, come me e mio fratello Giorgio. Tallonatore nel GUF Torino vicecampione d’Italia. Erano i Gruppi Universitari Fascisti, lontani parenti del Cus».

Che prodigio fu «estrarre» Fred Buscaglione da un timido ex musicista del Conservatorio di Torino?

«Fred era un polistrumentista straordinario, con una grande cultura musicale. Mio papà, invece, era un uomo di lettere appassionato di gialli. Due baffetti alla Clark Gable, un bel gessato ispirato ai romanzi di Damon Runyon ed ecco come nasce quel duro che però subisce. Nelle loro canzoni, dei mini-racconti, vincono sempre le donne».

Buscaglione morì a 38 anni, schiantandosi a Roma, era l’alba, contro un camion a bordo della sua Ford Thunderbird rosa. Senza quel tragico incidente, quello con suo padre sarebbe stato un lungo sodalizio alla Battisti-Mogol?

«Assolutamente sì, anche se qualcuno sosteneva che fossero al capolinea del loro filone creativo. Questo perché con “Ninna nanna del duro” avevano sconfinato in un genere più romantico: potevano permetterselo, erano artisti a tutto tondo. Fred ha avuto cinque anni di furore. E aveva appuntamenti e serate fissate per altri due anni».

Leo Chiosso si ispirava a mondi lontani senza avere viaggiato molto, un po’ come Emilio Salgari.

«Confermo, mio padre non amava l’aereo. Girò parecchio l’Europa ma non andò mai negli Stati Uniti. Si ispirò soprattutto al libro “Idillio nel fragore di Broadway” scritto dal solito Damon Runyon, quello di “Bulli e pupe”».

Suo padre sosteneva che avrebbe potuto campare con i diritti d’autore di «Parole parole» e «Love in Portofino».

«Fino ai primi anni Novanta, sì. Ora i diritti d’autore sono scesi drasticamente. Su “Love in Portofino” girava una barzelletta. Sapete perché in Liguria uccidono le galline? Perché, passando al piemontese, a fan mai l’oeuv a Portofino. Ma lui scrisse anche altri capolavori come “Torpedo blu” per Giorgio Gaber, “Una ragazza in due” per I Giganti, “Grassa e bella” per Louis Armstrong e “Stringimi forte i polsi” per Mina».

Ci racconta l’amicizia con Giampiero Boniperti?

«Erano molto legati. Ogni volta che Boniperti comprava un calciatore, prima di annunciarlo, si consultava con mio padre. Boniperti definiva papà “elemento atipico a tutto campo”, perché spaziava dalle canzoni al cinema, dal teatro alla tivù. Il duetto tra Mina e Battisti, ad esempio, fu una sua idea».

Leo Chiosso fece anche Canzonissima Tv con Dario Fo, di tutt’altra sponda politica.

«Quella trasmissione venne sospesa per due sketch di matrice politica. Sì, sulle questioni ideologiche c’era molta distanza tra loro. Con Gipo Farassino invece l’intesa era totale. A proposito, i Murazzi sono stati intitolati a due creature legate a mio padre: Farassino e Buscaglione».

Qual è la canzone di suo padre che le piace di più?

«Parole parole, l’unica canzone italiana editata in più lingue di Volare. Anche in giapponese. Papà era un tipo dissacrante, non era un romantico. Quel brano parla della fine di un amore disincantato. Caramelle non ne voglio più, dice lei. E le rose e i violini dalli a qualcun altra. Una canzone adatta ai tempi moderni. Ripeto: era davvero avanti».

Come è essere il figlio di? Lei su Facebook si chiama Fred per Leo Chiosso.

«Ho aperto quel profilo per condividere anche sui social la sua eredità culturale. Quando ero un fotografo non dicevo mai chi fosse mio padre, volevo essere stimato per il mio lavoro e non per la parentela: una mia forma di ribellione giovanile. Poi, un episodio ha cambiato tutto. Era il 2006, un paio di giorni dopo la morte di mio padre. Baudo conduttore di Domenica In chiese a Johnny Dorelli di cantare “Love in Portofino” ma nessuno dei due in quella occasione ricordò mio papà. Nel mondo dello spettacolo la riconoscenza è un optional».

Se potesse incontrare suo papà cosa gli direbbe?

«Lo sogno quasi tutte le notti... Gli direi meno male che sei tornato perché, con le canzoni brutte che girano adesso, c’è bisogno di qualcuno che le sappia scrivere per davvero».

Su Instagram

Siamo anche su Instagram, seguici: https://www.instagram.com/corriere.torino/?hl=it

La newsletter del Corriere Torino

Se vuoi restare aggiornato sulle notizie di Torino e del Piemonte iscriviti gratis alla newsletter del Corriere Torino. Arriva tutti i giorni direttamente nella tua casella di posta alle 7 del mattino. Basta cliccare qui

5 novembre 2023 ( modifica il 5 novembre 2023 | 18:58)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Leggi di più
Notizie simili