Padre Georg, papa Francesco e quel Vaticano tra dissing e telenovela

19 giorni ago
Papa Francesco padre Georg

Era il 22 ottobre 1978 e fin dalla sua prima messa da papa in piazza San Pietro, Giovanni Paolo II ha reso la chiesa cattolica un fenomeno di massa. Ma si sa, la telecamera con i suoi zoom può restringere un immaginario. Francesco, invece, eletto papa in un pomeriggio illuminato dagli smartphone, ha ampliato quel racconto, rendendo il Vaticano lo sfondo ideale di una serie on demand, da mandare in loop o rewind a piacimento. Così il racconto diventa resoconto dove, alzato il sipario nel backstage, cade la quinta scenica e il Vaticano diventa il set perfetto di una telenovela. È successo con monsignor Georg Gänswein, l’ex segretario personale di papa Benedetto XVI, nel ruolo di villain per aver pubblicato un libro critico verso il papa - «mi ha fatto a pezzi» ha confessato Francesco, usando una forte espressione spagnola «me pone de vuelta y media» -, che sarebbe stato perdonato dallo stesso pontefice con un ruolo di nunzio apostolico, come racconta Elisabetta Piqué su La Nación, giornale appunto argentino.

Vaticano Netflix

È solo l’ultimo colpo di scena di una serie a puntate che aveva raggiunto il picco una settimana fa con la pubblicazione di due biografie non convenzionali del papa, uscite a pochi giorni di distanza l’una dall’altra: LIFE a cura di Fabio Marchese Ragona, pubblicato in Italia per Harper Collins ed El Sucesor a cura di Javier Martinez Brocal, edito in Spagna da Editorial Planeta. Due resoconti biografici sviluppati come un’ampia intervista al pontefice: genere, a quanto pare, amato molto da Francesco e dai suoi intervistatori fin dalla sua prima conversazione rilasciata all’ex direttore de La Civiltà Cattolica, il gesuita Antonio Spadaro. Si tratta quasi sempre di racconti densi di aneddoti. Nei due libri, per esempio, il papa dà ampi dettagli del Conclave che lo elesse. Può farlo, come spiega ne El Sucesor: «I cardinali giurano di non rivelare quanto accade in conclave, ma i papi hanno licenza di raccontarlo». Ma raccontando meccanismi e rivelando retroscena di quell’ultima frontiera del mistero pontificio che è l’elezione di un papa cattolico, che peso ha il «Fuori tutti» pronunciato dal maestro delle celebrazioni pontificie che chiude a chiave il Conclave?

Che fine ha fatto il Concilio?

In LIFE la storia di papa Francesco si dipana e sviluppa nelle pieghe di eventi storici più ampi, dallo sbarco sulla Luna all’attentato alle Torri Gemelle, passando per la caduta del Muro di Berlino. Bergoglio ci tiene a descriversi come uno spettatore più o meno attento della storia. L’allunaggio visto in televisione sbiadisce davanti a una macro-visione divina degli eventi e agli occhi di Bergoglio scoperte o attentati hanno senso se letti con fatalismo. Non c’è spazio, invece, all’evento in cui la chiesa cattolica e la storia si sono intrecciate: il Concilio Vaticano II. Il grande incontro ecumenico della chiesa aperto da Giovanni XXIII e chiuso da Paolo VI a ridosso dei movimenti di Liberazione sessuale del Sessantotto, non viene neppure considerato per quell’evento spartiacque che fu per la chiesa. Papa Francesco, che riconosce al predecessore Ratzinger gli insegnamenti sulla rivista Communio, critica verso le aperture della chiesa post-conciliare, non appare il «progressista» che conosciamo. D’altronde, il suo mentore, l’arcivescovo di La Plata Antonio Quarracino – che menziona svariate volte – negli anni Ottanta era diventato una delle voci più restie al cambiamento voluto dal Concilio: a guida della campagna contro il divorzio in Argentina, si opponeva all’educazione sessuale nelle scuole.

Il periodo oscuro di Bergoglio

Nei due libri, papa Francesco si trattiene poco sul suo periodo oscuro, che lui stesso definisce «destierro», «esilio». Nel 1990 i provinciali gesuiti lo inviarono a 700 chilometri da Buenos Aires. In LIFE il papa confessa: «In quel tempo vissi con un periodo quasi di sconfitta nel cuore, dato che non capivo bene perché fossi stato mandato lì dai superiori, ma accettando quella decisione con obbedienza». Nessuna menzione, per esempio, degli attriti coi suoi superiori. Lo storico argentino Marcelo Larraquy in Código Francisco (Sudamericana, 2016) racconta che Bergoglio fu cacciato dal Colegio Máximo il 16 luglio 1990, poco prima di compiere 54 anni. Rimase in esilio a Córdoba fino al maggio 1992, quando Giovanni Paolo II lo nominò vescovo ausiliare di Buenos Aires. Stando a Larraquy, in quegli anni Bergoglio «in silenzio, a testa bassa e con la faccia seria, passava in ogni luogo come se fosse afflitto da qualche malattia o in uno stato depressivo». Eppure, Francesco non si trattiene più di tanto, bolla semplicemente come calunnie quelle messe in giro da alcuni confratelli, così come farà una volta eletto papa quando, di rientro da una delicata operazione chirurgica al Gemelli, si dichiarerà amareggiato verso i cardinali che lo davano per morto.

I latinoamericani e la Curia

Se nella descrizione di quegli anni Francesco non dà particolari, diversamente accade con il Conclave che lo elesse papa. Nei due racconti biografici, Bergoglio racconta quei giorni come un percorso quasi dettato dalla fronda dei cardinali latinoamericani, verso i quali la Curia di Roma era sempre rimasta scettica. Andando a ritroso, Francesco lo spiega che il 14 ottobre 2005, insieme al cardinale cileno Francisco Javier Errázuriz e al cardinale brasiliano Cláudio Hummes, chiese udienza a papa Benedetto XVI per convincerlo a partecipare alla Conferenza delle chiese latinoamericane di Aparecida, dopo che aveva inizialmente rifiutato la proposta: «Dall'esterno abbiamo avuto l'impressione che la Curia avesse chiuso la questione e non ci fosse più niente da fare […]. Lo avevano incastrato qui» dice ne El Sucesor. È il papa stesso a descrivere lo scetticismo romano verso la chiesa latinoamericana.

Appare, quindi, una legge del contrappasso che nel racconto di quel 13 marzo 2013 conclusosi con la sua elezione, Francesco ricordi come protagonisti non tanto i cardinali europei, ma quelli del suo continente: il cardinale Jaime Ortega y Alamino, arcivescovo de La Havana, che gli chiede una copia del discorso tenuto durante le congregazioni generali, il già citato cardinale cileno Francisco Errázuriz, arcivescovo emerito di Santiago del Cile, che lo incalza sulla preparazione di un potenziale discorso post elezione, il cardinale Santos Abril y Castelló, già nunzio apostolico in Argentina, che chiede informazioni più dettagliate sulla sua salute. Infine, l’amico e cardinale brasiliano Cláudio Hummes, che gli ispirò il nome da papa quando, a conteggio quasi terminato, lo invitò a ricordarsi dei poveri.

Francesco e Georg: dissing vaticano

Questo rapporto difficile fra la Curia romana e l’America Latina prende forma nel rapporto turbolento fra papa Francesco e il segretario personale del papa emerito Benedetto XVI, mons. Georg Gänswein. Nel libro del vescovo bavarese pubblicato lo scorso anno** Nient’altro che la verità** (Piemme, 2023), emergono alcuni dettagli su un temperamento non proprio misericordioso di papa Francesco, che per esempio lo demansionò dalla carica di segretario per il caso del libro del cardinale Sarah sul celibato dei preti, di cui Ratzinger fu presentato come co-autore, e che fu percepito come un attacco alle presunte aperture di Francesco. Alla dovizia di particolari di padre Georg, che avrebbero potuto anche essere risparmiati se la premessa del libro era quella di non suscitare polemiche, a distanza di un anno il pontefice ha risposto senza giri di parole. Pur non menzionandolo direttamente, nel libro El Sucesor a lui si riferisce quando dice: «Che il giorno del funerale fosse stato pubblicato un libro che mi ha fatto a pezzi, raccontando cose non aderenti a verità, è stato molto triste. Certo, non mi toccò nel senso che mi condizionò. Ma mi addolorò che Benedetto fosse stato usato […]. L’ho vissuto come una mancanza di nobiltà e umanità». Ma Francesco non si limita a questo. Ricordando il carattere mite di Benedetto XVI, si sofferma sul «cordone di protezione» che lo circondava e che, malgrado le buone intenzioni, poteva togliere ossigeno. Il rapporto fra il papa emerito e il papa regnante viene raccontato da Francesco come la ricerca di un equilibrio fra spazi, non solo fisici.

Il paternalismo del papa

Secondo l’autore del libro El Sucesor, questa ricerca di equilibrio fra i due papi – secondo la visione di Bergoglio - non ha però interrotto una narrazione del Vaticano come di un «nido di serpenti in lotta per il potere» o la «caricatura di due papi che vivevano in opposizione». Certamente, questo libro e quello di padre Georg non aiutano a dissipare i dubbi. Ma stavolta l’autore cerca di richiamare l’attenzione sull’approccio di Francesco, che si forma alla scuola di Romano Guardini, il teologo italotedesco della chiesa come coincidentia oppositorum, cioè il luogo che tiene insieme le tensioni e non le appiattisce. Una visione di chiesa che tiene in piedi un po’ tutto, bianco e nero: ma che si scontra inevitabilmente con il mondo contemporaneo quando la chiesa guidata da papa Francesco cerca di mettersi in dialogo con le aspirazioni di una società laica. Ancora più ortodosse sono le posizioni del pontefice sull’aborto. In LIFE afferma: «Non mi stancherò mai di dire che l’aborto è un omicidio, un atto criminale» definendo chi lo pratica «killer prezzolati, sicari!», equiparando le aziende che producono farmaci abortivi a quelle delle armi.

La visione etica di papa Francesco non esce da una valutazione a tratti moralistica della società né tiene conto della sofferenza spesso generata da alcune scelte. Quando, per esempio, parla delle case di riposo, non critica l’indifferenza verso le persone anziane da parte della società, ma le scelte dei figli che, stretti fra lavoro e famiglia, hanno semplicemente bisogno di caregiver o assistenza: «I nonni e le nonne sono una sorgente preziosissima di cui bisogna prendersi cura, che bisogna custodire e non depositare in un ospizio» dice il papa, con accenti di paternalismo.

Il papa e l’acronimo

In entrambi i libri appare interessante come il papa affronti il tema delle persone Lgbtqia+, non solo quelli credenti. Il rapporto di Francesco con le persone credenti queer è una relazione mai del tutto risolta. La dichiarazione apostolica sulla benedizione alle coppie irregolari dello scorso dicembre Fiducia Supplicans e il successivo chiarimento firmato dal cardinale Víctor Fernandez in una nota pubblicata solo poche settimane dopo dalla Congregazione per la dottrina della fede, mostra l’ambiguità di Francesco sulla questione. L’intransigenza di papa Benedetto XVI, che ha risolto il confronto dell’istituzione cattolica con il mondo odierno in una palese chiusura, oggi non è stata sdoganata del tutto da Francesco.

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