"Samusà" con Virginia Raffaele, il 'silenzio' che…non ti aspetti

11 Feb 2024
Virginia Raffaele

Roma – Per quasi due settimane, l’11 febbraio l’ultima serata, Virginia Raffaele, attrice, cantante, imitatrice, ballerina, fantasista, regala al pubblico incantato due ore di spettacolo vero ricco di risate, grazia da vendere, riflessioni disciolte in un divertimento intelligente e ‘simpatico’ col suo Samusà scritto a più mani dalla stessa Raffaele e da Giovanni Todescan, Francesco Freyrie, Daniele Prato e con Federico Tiezzi che ne è anche il regista.  L’attrice, reduce da tre serate televisive che l’hanno vista protagonista nel mettere a disposizione le capacità d’una carriera ormai ventennale, fa il pieno al Teatro Brancaccio anche nelle serate di venerdì 9 e sabato 10 febbraio clou del Festival di Sanremo.

La vediamo alle prese con le voci dei vicini di giostra di quand’era ragazzina al Luneur, il grande parco, per decenni incontrastato protagonista del divertimento capitolino, co-fondato dai nonni negli anni ’50; prendere poi a cuore ‘i tipi’ cui occorre dar voce negli anni 2000 come la Giorgiamaura, bambina poco amata e, forse, corta di comprendonio che mette giù una sicumera più tenera che fastidiosa alle orecchie; la nonnetta che si auto-telefona perché a casa sua ormai quelli che c’erano sono tutti terra per i fiori del giardino (esilaranti la ricetta del ‘pollo alla cacciatora’ e la trovata scenica del distributore di pasticche); e poi ‘quella che ha capito tutto’ e tutto legge alla luce del ‘complottismo’ tanto che (seppure l’avessero mai fatto in matematica) nemmeno uno più uno fa due.

Ma la voce della bambina e della ragazza che è stata sotto le luci colorate al neon del Tiro a segno, del Tagadà, della Ruota panoramica, grandi attrazioni del Lunapark di famiglia, riprende scanzonata o seria il discorso di un’infanzia felice anche se certe volte immensamente annoiata «tutti i bambini avrebbero fatto di tutto per entrare al lunapark, e io di tutto per poterne uscire qualche volta»; assieme alla storia delle sue radici (abruzzesi, calabresi e sinti), che l’hanno abituata a stare con tutti, a trovare in tutti anima e poesia, ironia e difetti sacrosanti ma riconoscendo anche diffidenza e pregiudizio perché quando dici che sei ‘anche sinti’ «tutti controllano se hanno ancora il portafogli» ché resta sinonimo, e nemmeno tanto e solo, di zingari, rom, romanì, genti mai viste di buon occhio nel cuore dell’Europa.

Abbiamo spesso considerato la bellezza solare di questa attrice, occhi scuri fondi, capelli lunghi e setosi, fisico elegante, ma ora per i suoi quarant’anni ci ‘obbliga’ a guardarne l’elasticità fisica con cui sembra si lasci attraversare da tutte le donne del suo repertorio, d’ogni età ed estrazione sociale, complice, senz’altro, l’ottima scrittura dei testi, ed anche una libertà mentale che le consente di prendere in giro tutto e tutti e poi di gratificarli con un raggio di bellezza, che è quello proprio della condizione umana…Troppo per uno spettacolo comico e leggero? No, soprattutto se si assiste estasiati ad una Patty Pravo divenuta fatina d’una foresta di funghi, forse allucinogeni, con tanto di colore giallo evidenziatore e ali arcobaleno, portate direttamente dai mitici anni ’70, cha farfuglia di amore, felicità, giovinezza, facendo venire giù il teatro per gli applausi. O quando, indossando i panni d’una cantante lirica che ad un certo punto s’accorge di non avere più lo spartito della Carmen che pure dovrebbe cantare, fa diventare ‘trappola ‘ il suo magnifico vestito di rose di raso ed un incubo la platea che s’aspetta gorgheggi mirabolanti rimasti…senza parole. Senza parole anche i lievi intermezzi di giocoleria di tre leggiadre figure a cui è delegata una rarefatta atmosfera circense.

Ecco, pur nel motto del titolo dello spettacolo, Samusà, che nel linguaggio non scritto dei giostrai significa ‘fare silenzio’, Virginia trova sempre le parole: le fluiscono dalla bocca, si ‘imparpagliano’ sulla lingua, tartagliano, rallentano (alla fine alcune delle sue imitazioni più riuscite fra cui Ornella Vanoni, Belén, Bianca Berlinguer, Sabrina Ferilli si insultano utilizzando, sembra, l’esile fisico, quasi posseduto da queste, di Virginia). Infine il ragionare ridendo, ironizzando, rigirando la realtà come fanno, lo sappiamo, alcune ‘teste matte’ che però non sempre dicono il falso, ci dice che a parte alcuni silenzi, come quello estivo, attraversato da migliaia di cicale che rendono la notte romana paradisiaca e poetica, ai silenzi è meglio non affidarsi troppo: che, parafrasando, quelli della ragione generano mostri, soprattutto su argomenti come inclusione, complottismo, solitudine, invecchiamento, coabitazione; che è meglio parlare, stemperarli quei sentimenti divisivi che ci rendono più tristi e soli. Questo regala la brava Virginia Raffaele in una sera, a teatro. (Serena Grizi)   

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