Il requiem rock dei Depeche Mode a Roma commuove l'Olimpico

13 Lug 2023
Depeche Mode

I rintocchi sintetici che accompagnano l’ingresso sul palco della band segnano l’inizio del rito, mentre Dave Gahan con il suo passo elegante si dirige verso l’asta del microfono. La morte viene chiamata con il suo nome subito, già nel primo pezzo, “My cosmos is mine”, caratterizzato da beat e ritmiche cupe, tribali: “No rain, no clouds / no pain, no shrouds / no final breaths / no senseless deaths”, “Niente pioggia, niente nuvole / niente dolore, niente sudari / nessun ultimo respiro, nessuna morte insensata”, canta ossessivamente con quell’inconfondibile voce baritonale, un mix di tetraggine e sensualità, il frontman dei Depeche Mode. Il tema compare anche sulla grancassa della batteria, con il logo scelto per “

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Memento Mori”, l’album uscito a marzo, il primo senza Andy Fletcher, che per oltre quarant’anni ha condiviso con Dave Gahan e Martin Gore palchi, studi di registrazione, furgoni e stanze d’hotel: due ali di angelo compongono una corona mortuaria. Non un argomento inedito nella scrittura dei Depeche Mode, è vero: ma i concerti sono i primi senza Fletcher, morto prematuramente - a soli 60 anni - e improvvisamente lo scorso anno, a causa di una dissezione aortica che ha lasciato la band di “Enjoy the silence” senza uno dei suoi pilastri. È il suo fantasma che Dave e Martin, sul palco dello Stadio Olimpico di Roma, che ieri sera ha ospitato il primo dei tre concerti italiani negli stadi del “Memento Mori World Tour” (domani si esibiranno allo Stadio San Siro di Milano e domenica al Dall’Ara di Bologna), provano a evocare, davanti a 55 mila spettatori. In un concerto che suona al tempo stesso come un requiem rock e un invito a esorcizzare la morte.

A poco a poco si colora la gigantesca insegna a forma di “M”, che riproduce l’iniziale delle due parole del titolo dell’ultimo album della band, tingendosi ora di bianco, ora di rosso, ora di blu. “Memento Mori”, letteralmente “Ricordati che devi morire”: la locuzione latina scelta dai Depeche Mode come titolo del disco, che, giurano, era stato scelto e comunicato segretamente alla loro casa discografica tempo prima che l’improvvisa scomparsa di Fletcher sconvolgesse i piani della band, si adatta perfettamente al duplice significato dello show. La musica dei Depeche Mode assume altri significati, in questo contesto: è musica paranoica, tetra, lugubre, che nasconde qualcosa “Wagging tongue”, “Walking in my shoes”, “Sister of the night”: il modo di cantare di Dave Gahan sembra ancora più monocorde che in passato.

Non solo quelli tratti da “Memento Mori” (cinque in tutto: oltre a “My cosmos is mine” e “Wagging tongue”, nel corso del concerto arriveranno anche “Ghosts again”, “Soul with me” e “Speak to me”), che vengono inevitabilmente associati alla scomparsa di Fletcher: anche i brani degli altri album suonati dai Depeche Mode in scaletta, da “Songs of faith and devotion” a “Ultra”, tra i lavori più amati del secondo decennio della loro carriera, .si caricano di significati criptici, enigmatici. Prestandosi a una visione funeraria.

“Grazie davvero a tutti. Buona serata, Roma”, urla al microfono Dave Gahan, inossidabile, inarrestabile e carismatico leader, che fa suo il palcoscenico occupando lo spazio tra ancheggiamenti, balli sensuali, saltelli, bizzarre pose plastiche. Sarà così per due ore e passa di musica, senza pause se non prima dei bis. Se si esclude il passaggio da superospiti al Festival di Sanremo dello scorso febbraio, i Depeche Mode mancavano dall’Italia da cinque anni (per soddisfare le richieste del pubblico hanno appena annunciato tre nuove date in programma il 23 marzo al PalaAlpitour di Torino e il 28 e 30 marzo al Mediolanum Forum di Milano: biglietti in vendita da domani).

A Roma non suonavano dal 2017, l’anno in cui il tour mondiale legato all’album “Spirit” fece tappa sempre all’Olimpico. L’entusiasmo dei fan si fa sentire. Su “Everty counts”, da “Construction time again”, il primo capitolo della loro “trilogia berlinese” (poi completata con “Some great reward” e “Black celebration”), il 61enne cantante si gode il primo abbraccio del pubblico, mentre percorre la mini passerella che taglia la folla in due: nel video proiettato sul maxischermo alle spalle del palco un .uomo mascherato, coperto di nero dalla testa ai piedi, balla sulle note della canzone. Va’ a capire cosa rappresenti.

Su “Speak to me” sono delle croci di legno a comparire sul led, invece. È uno dei momenti più struggenti e intensi del concerto. Dave prova a stabilire un contatto: “Speak to me, I will follow / I heard you call my name / lying on the bathroom floor / no one here to blame / there’s a message I know can be found / I’m listening, I hear you, your sound”, canta, concentratissimo. Il pubblico, anche angosciato, ascolta in religioso silenzio, come se stesse assistendo a una seduta spiritica: si scioglie solo nel finale, partecipando al rito con l’applauso chiamato da Gahan - che poi si mette a ballare sul palco, con un partner immaginario - guardando verso il cielo.

Ci prova anche Martin Gore, al quale Dave lascia il microfono per “Question of lust” e “Soul with me”: “Follow the light / towards the voices calling / I’m going where the angels fly”, sussurra, cantando dell’elevazione di un’anima. Manca ancora qualcosa. I due, che non hanno voluto sul palco altri musicisti che non fossero gli storici turnisti .Christian Eigner (batteria) e Peter Gordeno (sintetizzatori, basso, pianoforte), provano a unire le forze. In “Ghosts again”, proprio come nel video del singolo che ha anticipato l’uscita di “Memento Mori”, giocano una partita a scacchi. È una citazione d’autore: la scena richiama quella de “Il settimo sigillo” di Ingmar Bergman in cui il protagonista del film Antonius sfidava la morte e quella di “Entr’acte” di René Clair in cui Marchel Duchamp e Man Ray si fronteggiavano sui tetti di Parigi. Gli sacchi erano uno dei giochi preferiti di Andy Fletcher, un avversario temibile. È come se muovendo le pedine i due riuscissero finalmente e magicamente a far scattare qualcosa.



Eccolo Andy Fletcher: lo spirito del tastierista aleggia sulle teste dei quattro musicisti e su quelle dei 55 mila spettatori accalcati nel parterre dell’Olimpico e in piedi sugli spalti, che ballano sulle note di “World in my eyes”, pescata dall’album “Violator” del 1990. Il volto di Fletch, così come Dave, Martin e i fan storici della band britannica chiamavano il tastierista, compare sugli schermi laterali, in una foto d’epoca in bianco e nero: “Fate un applauso per il signor Andy Fletcher”, dice Gahan alla folla, come se il musicista fosse presente sul palco in mezzo a lui, a Gore, a Christian Eigne e a Peter Gordeno.

“Fletch sarà sul palco con noi, a farci da spirito-guida. Avrebbe amato questo album, che non vediamo l’ora di suonare”, aveva garantito il frontman negli scorsi mesi, durante la promozione di “Memento Mori”. “Wrong”, “Stripped”, “John the revelator”, ora il concerto si trasforma in una festa, che invita a .ritrovare la propria vitalità nel tempo che passa. Proprio come fanno loro, che cominciano a rispolverare le pagine della loro gloriosa storia, quella di una band partita dalla scena underground britannica della seconda metà degli Anni ’70, della quale incarnò l’attitudine iconoclasta e la propensione a sparigliare le carte, per conquistare platee sempre più vaste con quell’idea di rock elettronico, sintetico, basato su atmosfere avvolgenti, pulsanti, scure, che li hanno resi uno dei gruppi più influenti e visionari della storia della musica pop.



Su “Enjoy the silence” compaiono anche dei teschi, sui maxischermi, a ricordare ai fan la caducità dell’esistenza umana: siamo fatti per tornare polvere, nati per morire, per tornare ad ascoltare quel silenzio cosmico.

Anche la hit del 1990 che consacrò i Depeche Mode come un’infallibile macchina sforna-inni ora, all’interno dello show, si ricollega a quel “Memento Mori”: “Capisco che il titolo possa suonare sinistro, dopo quello che è successo. Ma inviterei a interpretarlo in maniera positiva: ‘Vivi al massimo ogni giorno della tua vita, perché prima o poi finirà’”, la spiegazione di Gahan. Chissà che quella stella nel cielo che guida le loro vite con la sua luce di cui Dave e Martin cantano in “Waiting for the night”, mentre lo show si sposta all’estremità della passerella, oggi non abbia le sembianze dello stesso Andy: .l’abbraccio finale che i due si scambiano, strigendosi a vicenda per qualche secondo, commuove i fan e stappa un’ovazione. Dave e Martin esorcizzano la morte, elaborano il lutto, ma in fin dei conti sono vivi e vegeti. E lo cantano - e lo suonano - in “Just can’t get enough”, tra le hit più grosse di una carriera da oltre 100 milioni di copie vendute. “Never let me down again” e “Personal Jesus”, in un perfetto uno-due finale dal sapore Anni ’80, non abbassano i bpm, al termine della lunga cavalcata. Tutt’altro, è la scarica finale: “Reach out and touch faith / your own personal Jesus /someone to hear your prayers”, fomenta il pubblico Gahan. Anche nei tempi bui si ballerà? Anche si ballerà dei tempi bui.

SCALETTA:
“My cosmos is mine”
“Wagging tongue”
“Walking in my shoes”

“It’s no good”

“Sister of night”

“In your room”

“Everything counts”

“Precious”

“Speak to me”

“Question of lust”



“Soul with me”

“Ghosts again”

“I feel you”

“A pain that I’m used to”

“World in my eyes”

“Wrong”

“Stripped”

“John the revelator”

“Enjoy the silence”

“Waiting for the night”

“Just can’t get enough”

“Never let me down again”

“Personal Jesus”

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