Il segreto di Liberato - La recensione

6 giorni ago

Nonostante sia nato in Lombardia al confine con la Svizzera, e mi ostini a consumare della pessima pizza surgelata, a volte penso che sarei stato un ottimo napoletano; una specie di versione alla rovescia della tizia di Incantesimo napoletano che, pur partenopea DOC, si sentiva milanese. Del capoluogo campano mi affasciano i ritmi, la cadenza e una certa arrendevolezza nei confronti della "ciorta", la sorte, come cantava Pino Daniele. Sopratutto, però, vado pazzo per quel mix di folclore, mito, cristianesimo e paganesimo capace di mettere sullo stesso piano (e nello stesso presepe) San Gennaro e Maradona, o il bambino Gesù e Massimo Troisi.

A Napoli e in una bella fetta delle opere - letterarie, musicali o cinematografiche - legate al territorio si respira l’atmosfera di un eterno rito d’inversione dove i morti camminano a fianco dei vivi, mentre figure leggendarie come il munaciello possono materializzarsi dietro a ogni angolo, senza bisogno di spiegazioni, tanto è forte la presenza di elementi magici e segreti.

In via di queste e altre faccende sempre al limite dell’appropriazione culturale, mi rendo conto, sono andato parecchio d’accordo con Il segreto di Liberato, film a sua volta proteiforme sospeso com’è tra fiction e documentario, tra cinema d’animazione e dal vivo, che gira attorno a Liberato, musicista napoletano attivo dal 2017 con la sua fusione tra neomelodica, elettronica e hip-hop, altresì noto - o meglio, ignoto - per via della scelta di nascondere la propria identità in un periodo dove tutti non fanno altro che metterla in piazza (compreso chi scrive).

A Napule tutt' quant' tenimm' 'nu segret

Chiaramente non è la prima volta che un artista sceglie di sparire dai radar finendo per essere virtualmente ovunque: penso a J. D. Salinger o ai Daft Punk, che pure vengono sfiorati dal film, ed era stato proprio un altro napoletano, Paolo Sorrentino, a "imporre" questa strategia al fittizio pontefice di The Young Pope. Eppure, nel caso di Liberato alla cosa si accompagna un utilizzo estremamente (e involontariamente?) sofisticato dei meccanismi di internet e dei social network per tendere una "strategia del mistero" à la Lost basata su piccoli indizi, rumor e depistaggi vari.

Nel film è presente una forte carica folclorica-esoterica.

Sulla carta non era per nulla facile mettere assieme un film su un musicista tanto sfuggente nonostante il coinvolgimento di Francesco Lettieri: regista, sceneggiatore e autore di videoclip proveniente dalla scena indie che, con le sue opere, ha contribuito attivamente a definire l’immaginario attorno a Liberato. Ciononostante, il risultato finale mi è parso decisamente riuscito nonché potenzialmente in grado di dialogare anche con chi, banalmente, non ha mai ascoltato una nota dell’artista in questione.

Accanto a Lettieri, che ha firmato regia e sceneggiatura, troviamo Giorgio Testi, altro nome bello pesante quando si parla di documentari dalla vocazione narrativa, mentre per quanto riguarda la "metà animata" del film sono stati coinvolti Giuseppe Squillaci, cineasta votato agli effetti visivi, e Lorenzo Ceccotti, in arte LRNZ, illustratore e fumettista che con il suo indistinguibile stile ha definito character design e fondali del film.

Napule è mille culture

Un bel gruppetto che, come dicevo, è riuscito a portare a casa il risultato confezionando un film capace fin dalle prime battute di esaltare la magia di Napoli e del suo misterioso "supereroe" grazie a un approccio vagamente antropologico. Approccio, a sua volta, al servizio di una origin story/coming of age ambientata tra le strade di una città indecisa tra passato e futuro dalla quale i due giovani protagonisti, Liberato (qui anche voce narrante) e la coetanea Lucia cercano di fuggire per mettere alla prova le rispettive inclinazioni artistiche, salvo farvi ritorno in quanto unico luogo che, evidentemente, sentono di poter chiamare "casa".

Lucia e Liberato; il visto di quest’ultimo, nelle sequenze animate, è sempre coperto da capelli o cappucci.

Questi particolari sviluppi, affidati alle sequenze animate, frugano nella vita di Liberato senz’altro con tutte le licenze del caso, ma anche con evidente sincerità, e sono accostabili per taglio e vocazione a opere come The Get Down e Elvis, entrambe di Baz Luhrmann, soprattutto per la comune scelta di raccontare l’ascesa di artisti attraverso la lente della narrativa di supereroi e, per estensione, del folclore: non è un caso che la prima maschera a comparire nel film sia quella di Pulcinella.

I riferimenti ancestrali si mescolano ad altri decisamente più contemporanei (i poster di Pino Daniele, le maschere dei Daft Punk, i manga), e assieme agli inserti puramente documentaristici condotti dalle stesse persone che, da anni, portano avanti il progetto Liberato, contribuiscono a tratteggiare non tanto - o non solo - i confini culturali di un artista apertamente sfuggente, ma semmai a esplorare il contesto dal quale questi è emerso, e che continua a fare capolino nelle sue opere.

Le sequenze dal vivo vantano scelte di fotografia davvero interessanti.

Sì, perché Il segreto di Liberato è inevitabilmente un racconto su Napoli. Anzi, si potrebbe addirittura sostenere che il segreto stesso di Liberato sia Napoli, con tutte le sue idiosincrasie, i problemi legati alla gentrificazione, la non sempre facile coesistenza tra passato e presente, tra arrendevolezza e voglia di agire; tra bene e male, per essere tranchant. E questo dal film guidato da lettieri, pure al netto di qualche indecisione qua e là, emerge eccome.

Il segreto di Liberato è disponibile al cinema.

OK, visto il taglio e l’argomento era inevitabile, però… fa comunque bene al cuore vedere un film del genere realizzato in Italia sia per quanto riguarda la qualità delle sequenze animate, che nonostante un dinamismo non sempre fluidissimo sfoggiano un lavoro sui colori e un character design davvero buono; sia per il trattamento pop imposto a una narrazione capace di passare con scioltezza tra passato e presente, tra (semi)fiction e documentario senza sembrare artificiosa o, peggio, irrisolta. Merito senz’altro anche del montaggio, sì, ma soprattutto di una visione d’insieme invidiabile capace di fondere le diverse anime del film e del personaggio che racconta.

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