Antonella Viola e l'aiuto alla famiglia senza casa: «Il bene si fa in ...

12 Mar 2024
Antonella Viola

diFrancesca Visentin

La professoressa che ha ospitato e comprato un alloggio a Nadir e Asma: «Alla domenica pranzavamo insieme. I loro figli mi chiamano nonna, già mi mancano»

«Parole che mi hanno fatto molto male. Non avrei mai parlato di questa storia che ho sempre voluto tenere privata, il bene si fa in silenzio. Ma leggere l’articolo del giornale online della Cgil in cui si prendevano meriti inesistenti mi ha davvero indignata. Poi quando mi sono arrabbiata, da Fillea Cgil si sono scusati, hanno detto che è stato un errore di comunicazione, hanno corretto il tiro…»

Antonella Viola, immunologa, professoressa di Patologia Generale all’Università di Padova, ha deciso di raccontare tutta la storia che in questi mesi l’ha vista in prima linea con il marito Marco, al fianco di Asma, Nadir e i loro bambini, famiglia tunisina immigrata a Padova, per risolvere una situazione drammatica: erano costretti a vivere in auto perché nessuno voleva affittare loro un appartamento. Tanti tentativi, ma tutti appena sentivano “immigrati con bambini”, rispondevano “no”. Dal giornale online della Cgil, nella prima stesura poi modificata, sembrava che fossero stati sindacato e Avvocati di strada a trovare casa alla famiglia tunisina. Così la professoressa Viola ha fatto chiarezza con un post su Facebook.

Professoressa Viola, quando ha deciso di accogliere a casa sua la famiglia tunisina che viveva in auto a Padova?
«Ho letto la notizia sul Corriere del Veneto e ho sentito che non potevo girarmi dall’altra parte, fare finta di niente. C’era una famiglia con bimbi piccoli costretta a stare per strada, nessuno interveniva. Sono andata da mio marito Marco, gli ho detto: ‘Vorrei portarli a casa nostra e trovare una soluzione per loro’. Avevamo dei risparmi da parte, ho pensato che potevamo comprare una casa per loro, aiutarli concretamente. Mio marito viaggia molto per lavoro, all’inizio era un po’ preoccupato di lasciarmi sola in casa con estranei…»

Com’è stato il primo incontro con la famiglia?
«Li ho contattati, li abbiamo fatti venire a casa nostra e abbiamo capito immediatamente che erano bravissime persone. Anche mio marito si è convinto subito. Abbiamo una casa grande, i due figli studiano e vivono fuori casa, quindi le loro stanze sono libere, c’era tutto lo spazio per offrire
ospitalità a Nadir e Asma, anche se l’obiettivo era trovare e acquistare una casa. Asma era un po’ preoccupata per la convivenza, Nadir invece entusiasta, mi ha messo in braccio la piccola e ha detto: ‘Ecco la nonna’. Un momento tenero, commovente. La piccola è stata subito a suo agio, da quel momento io e Marco siamo diventati ‘i nonni’».

La convivenza quotidiana a casa vostra come si svolgeva?
«E’ andato sempre tutto bene, ho dato loro le chiavi di casa. Nadir che lavora come operaio edile usciva alla mattina molto presto per andare a lavorare, Asma restava in casa con la piccola. Le ho detto: ‘Fai quello che vuoi’. Prendevamo il caffè insieme alla mattina, poi io andavo al lavoro e tornavo alla sera. Lei cucinava molto, preparava tante buonissime ricette della sua terra, il cous cous, il pollo fritto, anche le lasagne. Si era stupita di trovare solo cibi integrali in casa mia… Dopo qualche giorno ho dovuto tornare alla mia solita alimentazione, altrimenti sarei ingrassata moltissimo. Ma alla domenica spesso pranzavamo insieme con le ottime ricette preparate da Asma»

Che rapporto è nato con loro?
«La bimba piccola si è legata tanto a me, voleva sempre starmi in braccio. Anche con il bimbo giocavamo e disegnavamo insieme. Nadir e Asma mi hanno raccontato molto della Tunisia, di quello che li ha costretti a cercare una vita migliore in Italia. Mi mancano, la casa è triste senza i bimbi che corrono dappertutto. Certo è capitato che qualche sera tornavo a casa stanca e magari arrabbiata per problemi di lavoro, non avrei voluto trovare nessuno, ma invece essere costretta a interagire con loro e i bimbi diventava terapeutico, mi toglieva tutti i pensieri».

Sapevano che lei è famosa?
«No, l’hanno scoperto la prima volta che mi hanno vista in tivù. Il nostro accordo fin dall’inizio è stato che non avrebbero dovuto rivelare il nome di chi li ospitava, non volevo innescare il solito caos mediatico, ci tenevo soprattutto a tutelarli. Sono convinta che il bene si fa senza sbandierarlo. Se non ci fosse stato quell’articolo di Fillea Cgil che raccontava il falso, non
ne avrei mai parlato. Gli amici mi dicevano: ‘Raccontala, è una bella storia, un esempio per tutti, fa capire che la convivenza e l’integrazione sono possibili, che bisogna aprire le porte’… ma non volevo finissero in un tritacarne mediatico».

Come siete riusciti a trovare e acquistare la casa per loro?
«E’ stato difficile, ci abbiamo messo quasi due mesi, alla fine abbiamo trovato una soluzione ottimale: una casa singola, libera subito, con un piccolo giardino e due camere per i bambini, comoda a tutti i servizi, con il pediatra vicino. E abbiamo acquistato anche tutti i mobili, così non avevano problemi ad arredarla Ci vivono e pagano un affitto simbolico, hanno deciso loro la cifra».

Da mesi cercavano una casa in affitto, ma nessuno li voleva.
«Sì. Anche parlando con le agenzie immobiliari che ormai conoscevano bene la loro situazione, mi hanno confermato che i proprietari di case appena sentivano che si trattava di una famiglia immigrata con bambini, si tiravano indietro, non li volevano. Molte persone anche con case vuote hanno detto ‘no’. Mi ha fatta soffrire scontrarmi con questa realtà e questo egoismo: non si può vivere di paura, bisogna fidarsi del prossimo».

Per lei e la sua famiglia com’è stata questa esperienza?
«E’ stata un’esperienza bellissima, mi ha portato a superare limiti, barriere e paure. Ho la consapevolezza di avere fatto la differenza per una famiglia, un atto concreto. Tutti ci dicevano ‘siete pazzi’, invece per noi era la cosa giusta da fare. Avevamo dei soldi da parte, siamo felicissimi di avere comprato una casa per loro. Spero che nessuno sporchi questa cosa con commenti stupidi e cattivi, ma soprattutto vorrei che li lasciassero in pace, senza il solito accanimento mediatico e curiosità morbosa. Ora sono felici, hanno bisogno di stare tranquilli, senza diventare bersaglio di interviste e telefonate continue».

Siete rimasti in contatto?
«Certo, ci sentiamo sempre via messaggio o al telefono. Marco mio marito è andato a trovarli pochi giorni fa. Asma ha trovato lavoro, è felice. Ma non vogliamo essere invadenti, è giusto che vivano la loro vita in tranquillità, senza averci sempre intorno»

Nel periodo in cui la famiglia viveva per strada e anche dopo, mentre cercavate una casa, vi ha aiutato qualcuno, istituzioni o associazioni?
«No, nessuno. Non ho mai visto né Cgil, né Caritas, né istituzioni o altre associazioni, l’abbiamo risolta noi senza aiuti. Penso sia indispensabile un piano istituzionale strutturato che permetta alle famiglie che non possono comprare una casa e che non riescono a trovare alloggio in affitto di vivere decentemente. Le amministrazioni dei Comuni dovrebbero farsi garanti in situazioni difficili, in modo che affittare diventi possibile, con la loro mediazione, anche per immigrati o persone in difficoltà.

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12 marzo 2024 ( modifica il 12 marzo 2024 | 16:39)

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