Per la nuova serie A serve un termometro, di quelli digitali o stile boomer in mercurio, visto che il calcio italiano è un paese per vecchi, se si parla di dirigenti, o di stranieri, se si parla di proprietari e di giocatori. Misurare la temperatura al campionato è un buon esercizio politico, economico e sociale per tenere d’occhio l’andazzo di una nazione uscita dalle Olimpiadi di Parigi con un risultato in linea con le attese. Anche il calcio, a modo suo, mantiene le promesse. Si è visto agli Europei chiusi in Germania un mese fa con la finale di Berlino, quando gli azzurri erano stati eliminati da un pezzo. Si vedrà dal 17 agosto in avanti quando le magnifiche venti della massima serie daranno vita a uno spettacolo funambolico, ricco di colpi di scena, di spettacolo in campo e di nuovi talenti. Forse. Prima di partire per la nuova avventura, L’Espresso ha misurato lo stato di salute dello spettacolo sportivo più amato.
Mercato 37,8°. La compravendita dei calciatori, che vive la sua sessione estiva fino a fine agosto, è un indicatore infallibile, se non il principale, delle condizioni di salute complessive del sistema. Premesso che le buone pratiche di bilancio non sono mai state ai primi posti dell’industria del pallone, il responso clinico non è dei migliori. I grandi colpi di mercato sono un ricordo lontano, se i campioni d’Italia dell’Inter strombazzano l’acquisto di Mehdi Taremi, centravanti iraniano bravino e poco fortunato visto che si è già rotto. Nel settore goleador, si procede con l’usato sicuro o quasi, dal romanista Tammy Abraham a Romélu Lukaku fino ad Álvaro Morata, spagnolo di ritorno arrivato al Milan con un diploma da campione d’Europa. Il grosso dei nomi pubblicati sulle pagine delle cronache sportive dedicate ai transfer getterebbe nel dubbio anche un tifoso di competenze medio-alte. Con tutto il rispetto per gli atleti menzionati, gli stranieri in entrata sono una batteria di Carneadi che legittimamente potranno sperare di essere la sorpresa della stagione. In quel caso, dall’anno prossimo finiranno in Inghilterra, in Spagna, in Germania, nella succursale parigina dell’emirato del Qatar o addirittura nella bolla speculativa del campionato saudita, che peraltro ha già perso parecchie atmosfere rispetto all’anno scorso, quando l’esodo dei campioni pareva inarrestabile.
Scartata la possibilità di competere su scala globale per l’acquisto di giovani talenti, il calciomercato è dominato da un caso al contrario, quello di Federico Chiesa. Giocatore di talento e protagonista nonostante un infortunio della vittoria italiana agli Europei giocati nel 2021, è stato messo in svendita dalla Juventus di John Elkann e Thiago Motta senza troppi ringraziamenti, come un nuovo Mario Balotelli, dopo una stagione difficile sia in bianconero sia in maglia azzurra. È vero che a quasi 27 anni un calciatore dovrebbe avere già deciso che cosa vuole fare da grande e, soprattutto, se vuole essere grande. Ma vista da fuori è una storia triste come un passaggio indietro di quaranta metri e sembra difficile addossare ogni colpa al calciatore che, poco volentieri, è diventato il simbolo di un campionato distruttore di talenti o formatore casuale di prospetti destinati all’export.
Nuovi stadi 38°. Qui la buona notizia è che un anno fa di questi tempi il termometro segnava 39 gradi abbondanti. Nelle piazze che contano di più per risultati sportivi e peso demografico, la situazione presenta segnali di miglioramento.
A Milano il dossier di Webuild sulla ristrutturazione di San Siro ha messo in chiaro tempi e modi dopo anni di delirio, iniziati con un progetto di abbattimento e ricostruzione in loco concepito per una colossale speculazione immobiliare. Inter e Milan hanno un paio di mesi per valutare la proposta dell’impresa edile guidata da Pietro Salini, gradita al sindaco Beppe Sala e al Coni impegnato nei Giochi invernali da inaugurare proprio allo stadio Meazza il 6 febbraio del 2026. L’Inter da poco passata dai cinesi del gruppo Suning ai loro ex creditori Usa del fondo Oaktree non menziona più da mesi l’ipotesi di un trasferimento nell’area Cabassi a Rozzano. Paolo Scaroni, presidente del Milan controllato dall’altra coppia finanziaria statunitense Redbird-Elliot, conserva l’opzione trasferimento a San Donato Milanese più come spauracchio che per il desiderio di infilarsi in un altro ginepraio di autorizzazioni. Se il piano di Webuild sarà accettato e mantenuto, i lavori possono iniziare dal 2025, addirittura in gennaio a campionato in corso, per la cifra tutto sommato modica di 350 milioni di euro contro un preventivo per la ricostruzione integrale stimato in 1,3 miliardi di euro. Il restyling durerà quattro anni.
Nella capitale, il versante romanista punta con decisione su Pietralata dopo alcune sentenze dei tribunali amministrativi che hanno dato ragione al blocco fra il sindaco Roberto Gualtieri e il club giallorosso della famiglia di Dan Friedkin, produttore cinematografico multimiliardario grazie alla distribuzione di veicoli Toyota in America. Nell’incontro in Campidoglio di fine luglio l’impegno economico è diventato altrettanto miliardario. «One billion», ha dichiarato il figlio del boss Ryan Friedkin, rispetto ai 600 milioni di euro di partenza. Anche qui i lavori dovrebbero partire nel 2025, verso fine anno, ma possono chiudersi prima dell’intervento su San Siro, che sarà più graduale per mantenere in uso l’impianto. Uno dei bersagli è il centenario del club nel 2027. L’altro è battere sul traguardo Claudio Lotito che per la Lazio non ha ancora rinunciato al progetto di rifare il Flaminio.
Fra gli altri club c’è una lunga lista di ristrutturazioni, dalla Fiorentina di Rocco Commisso al Bologna formato Champions di Joey Saputo, dal Parma di Kyle Krause al Como dei fratelli indonesiani Hartono. Ma qui inizia un altro capitolo.
Capitali stranieri 36°. In una scena memorabile di “The founder”, il film con Michael Keaton dedicato all’ascesa della catena McDonald’s, il consulente finanziario interpretato da Harry Sonneborne spiega al protagonista che il vero core-business del suo mestiere non sono gli hamburger da pochi centesimi ma il real estate.
Inter e Milan sono più interessate a comprare San Siro che nuovi campioni. L’immobiliare è la molla che attira capitali stranieri in una serie A decaduta, sotto il profilo tecnico, a un campionato di seconda fascia con scarsa attrattiva per chi non è morso dal germe del tifo.
Il dato di partenza è che il torneo 2024-2025, per la prima volta nella storia del calcio italiano, presenta una maggioranza di club finanziati da fondi o da holding con sede all’estero. Il catalogo include le tre neopromosse dalla B (Parma, Como, Venezia), le due milanesi e la Roma. Ci sono poi Bologna, Fiorentina, Atalanta, Genoa e la squadra più vincente della prima serie, la Juventus controllata dalla olandese Exor. Sono undici su venti, con predominanza Usa, e in futuro aumenteranno perché ormai gli investitori esteri iniziano a comprare dalle serie minori o persino dai dilettanti come hanno fatto gli indonesiani Michael e Robert Hartono con il club lariano, preso per 200 mila euro nel 2019, letteralmente spiccioli per due imprenditori che insieme valgono 47 miliardi dollari, secondo le stime di Forbes. Il manager del club lombardo, Miwan Suwarso, ha dichiarato che il modello di sviluppo è quello della Disney in un retroterra fra i più pregiati in Europa dal punto di vista immobiliare. Il risultato è che la campagna acquisti del Como, per adesso, ha messo in secondo piano quella delle grandi. Lo sdoganamento in sede Uefa delle multiproprietà sarà una facilitazione ulteriore. Comprare squadre dovunque non è più vietato e a Palermo attendono la promozione in serie A gli sceicchi di Abu Dhabi del City football group, proprietari di dodici squadre in quattro continenti, Africa esclusa.
Politica del calcio 39,5°. L’arrivo dei dollari sta cambiando gli equilibri fra chi dirige la macchina del calcio, che il report Figc di inizio agosto valuta a 11 miliardi di euro. Senza entrare nei cavilli della riforma chiesta dalla Lega di serie A, che rappresenta i proprietari, in accordo con il governo, la richiesta di chi paga di più è di contare di più. Il presidente della Figc, Gabriele Gravina, fatica a piegarsi alle nuove direttive ma conserva qualche vaga speranza di rielezione e si dice pronto a negoziare entro certi limiti. «Una piramide rovesciata», ha dichiarato in una lettera a Repubblica, «dove i pochi finissero per contare più dei molti non sarebbe più il simbolo della sussidiarietà e dell’autogoverno degli sportivi ma solo la giungla dei più forti». A novembre sarà votato il nuovo statuto e le elezioni sono state spostate al gennaio successivo. Gravina potrà contare di meno sul peso elettorale della sua base, dai dilettanti alla Lega Pro, e di sicuro non lo aiuta l’appoggio ricevuto in passato dall’area Pd.
A fronte di questa situazione politica, secondo il report della Federcalcio la serie A continua a spendere troppo in stipendi che sono l’83 per cento dei ricavi. Solo i francesi fanno peggio. Il campionato presenta un risultato netto in rosso per 864 milioni di euro nella stagione 2022-2023, con una perdita aggregata dal 2007-2008 di 8,5 miliardi di euro. In questo calderone ci sono gli stadi vecchi, i procuratori esosi, i calciatori del vivaio che giocano cinque minuti a partita, quando giocano, mentre altre nazionali fanno debuttare all’Europeo i sedicenni. Quello che nessun report può evidenziare è la lenta estinzione del talento dei giovani giocatori causata da un governo sclerotico dove l’istituto delle dimissioni non è contemplato e i dirigenti dirigono senza il problema di portare risultati. È febbre da cavallo. Non sarà la carta di uno statuto a farla passare.