Eleonora Abbagnato: «Se piangevo, lo facevo di nascosto. A Parigi ...

29 Mar 2024
Eleonora Abbagnato

«Ero una bambina sempre felice, che voleva arrivare al suo obiettivo. Soffrivo tanto la lontananza della mia famiglia, ma se piangevo, lo facevo di nascosto». Eleonora Abbagnato, Etòile dell’Opéra de Paris e direttrice del corpo di ballo e della scuola di danza del Teatro dell’Opera di Roma, a soli 11 anni ha lasciato la Sicilia e presto si è trovata sola in Francia per inseguire il suo sogno. Una vita, la sua, fatta di impegno e passione. La carriera luminosa di chi ce l’ha fatta. Oggi Eleonora Abbagnato condivide i ricordi del suo passato e il racconto del presente nel suo primo docufilm, Una stella che danza, che va in onda il 29 marzo in prima serata su Rai3 e su Raiplay, per la regia di Irish Braschi. Un viaggio documentario che restituisce la potenza, la fatica e la magia della danza.

foto di Fabrizio Di GiulioFabrizio Di Giulio

Ha iniziato presto a fare sacrifici.
«La danza richiede sacrificio: è un percorso difficile, bisogna lavorare tanto e affrontare molti momenti di solitudine. Sono sforzi diversi da quelli richiesti agli altri sportivi: quello della danza è un mondo in cui c’è anche molta invidia. Ero l’unica italiana all’Opéra de Paris, e mi chiamavano “la piccola mafiosa”. Oggi sarebbe uno scandalo, allora non lo era».

Le è capitato che qualcuno non credesse in lei?
«Ho avuto la fortuna che tanti coreografi e artisti abbiano creduto in me: ho vissuto momenti fantastici. E se c’era qualcuno che non credeva in me, non me l’ha mai detto, per fortuna».

Il momento più memorabile della sua carriera?
«Quando lavoravo con i grandi coreografi, che mi sceglievano per i ruoli più prestigiosi. Ma l’incontro più importante è sicuramente stato quello con Pina Bausch, coreografa e ballerina tedesca. A diciotto anni mi ha affidato il ruolo di Elettra: un'esperienza indimenticabile. Con lei ho ballato in Orfeo e Euridice. Lei ha scombussolato tutto: aveva la capacità di tirare fuori la personalità».

I suoi maestri erano molto rigorosi. Lei fa lo stesso con i suoi allievi?
«Sicuramente con i miei allievi sono molto corretta, ma noi avevamo maestri che ci lanciavano le sedie addosso. I loro metodi ci hanno resi molto forti, ma oggi andremmo tutti in galera se li applicassimo. A prescindere da questo, non lo farei comunque. È giusto non esagerare: allora era veramente troppo».

Che cosa le manca di più degli anni a Parigi?
«Parigi è ancora la mia casa: mi manca e vorrei riviverla. Ma devo dire che, per via del mio impegno con il teatro, oggi mi godo poco Roma come, allora, vivevo poco Parigi. Ho una vita frenetica, sono sempre chiusa nei teatri, ed è molto difficile vivere davvero una città. Ma sto bene con la mia famiglia a Roma, che è uno dei più bei centri d’Italia, e sono contenta di abitarci».

Tanti sacrifici l’hanno resa una donna più dura?
«Ne ho fatti tanti, ed è vero che mi hanno indurita un po’, mi hanno dato quel carattere forte che mi rende molto rigida anche con me stessa. Ma è giusto: bisogna lavorare per arrivare a ottenere qualcosa di importante».

Che tipo di mamma è?
«Sono esigente, come ritengo sia giusto essere. Bisogna impegnarsi e studiare, curare l’igiene della propria vita. I giovani hanno bisogno di istruzioni e di sapersi occupati: lo devono fare per il loro futuro. E io sto educando i miei figli seguendo questi principi».

Anche i suoi genitori avranno fatto sacrifici, accettando di “lasciarla andare” lontano così presto.
«Sicuramente il sacrificio è stato anche loro. Lo sto sperimentando anche io, adesso, con mia figlia Julia, che è entrata nel mondo della danza. È molto complicato, ma i genitori devono lasciare volare i propri figli. Ai miei, che hanno saputo accompagnarmi lasciandomi andare, io devo tutto».

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