Calcio, auguri a Giuseppe Giannini: il «Principe» della Roma ...
diNatalia Distefano
Il 20 agosto è il compleanno dell'ex capitano della «Magica», nato nel 1964, che ha giocato ben 476 partite con la maglia giallorossa, regalando alla squadra ben 76 gol tra il 1981 e il 1996
Romano (del quartiere Trieste) e romanista lo è per nascita. Ma il titolo nobiliare di «Principe» della Roma - di cui è stato anche un amato capitano - Giuseppe Giannini se lo è meritato sul campo: quello di calcio, dove con la maglia giallorossa ha giocato 476 partite, regalando ben 76 gol alla «Magica» tra il 1981 e il 1996. Poi ci sono le presenze e i gol nella Nazionale. Ma soprattutto l'eleganza del gioco, il carisma da leader gentile, quell'eredità sportiva raccolta dal «Divino» Paulo Roberto Falcao (di cui fu il pupillo) e trasmessa all'«ottavo Re di Roma» Francesco Totti (che in più occasioni ha ricordato il peso di Giannini nella sua formazione). Tutto questo dietro un soprannome portato a testa alta fino ad oggi, che l'ex calciatore si prepara a spegnere 60 candeline.
Ha perso la chioma bruna che faceva impazzire le tifose negli anni Ottanta e Novanta: «Non mi riconosco e mi rode essere senza capelli», ha dichiarato recentemente al Corriere. Mentre ha scelto felicemente di dirigere il Monterosi (squadra che gioca in serie C) per via del «rapporto di stima e di affetto con Mauro Fusano, il proprietario». Ed è nonno innamoratissimo della piccola Nina. Tra i rimpianti non dichiarati mai ufficialmente - lui preferisce parlare di «dispiacere» - quello di non aver trovato posto nella dirigenza della Roma. La delusione più grande invece - questa sì confessata più volte - c'è la semifinale del Mondiale «Italia 90» a Napoli, con l'eliminazione ai rigori per mano dell'Argentina di Maradona: «Non è paragonabile ad altro per importanza». Infine un pensiero a chi non c'è più: «Mi mancheranno gli auguri dei miei genitori. E quelli di altre persone con cui ho condiviso esperienze, penso a Vialli e a Mihajlovic che sono scomparsi da poco. E poi di qualche capo della tifoseria giallorossa che non c’è più e con cui ho condiviso trasferte, momenti belli e meno belli».
Nato a Roma il 20 agosto 1964 nel quartiere Trieste, dove il padre Ermenegildo gestiva un bar, si trasferisce presto a Frattocchie con la famiglia (nei pressi di Marino, di cui oggi è cittadino onorario) e inizia a correre con gli scarpini da calcio prima nella parrocchia di San Giuseppe e poi nel Santa Maria delle Mole. Crescendo gioca nel Tomba di Nerone e infine nell'Almas prima di entrare nelle giovanili della Roma. Il sogno di giocare in serie A con la maglia del cuore si realizza a 17 anni, nella stagione 1981-1982; vince pur senza alcuna presenza in campo lo scudetto del 1982/1983; il suo primo gol in campionato lo segna invece contro la Juventus dopo aver ricevuto il testimone proprio da Falcao, impossibilitato a scendere in campo (a onor di cronaca: la prima rete ufficiale con la Roma era già arrivata in Coppa Italia, contro il Cesena). Passano pochi anni e nell'86/87 Giannini diventa capitano e sempre più perno della «sua» Roma, veste la leggendaria maglia numero 10 e la fascia al braccio. Una stagione gloriosa, rovinata dallo scudetto sfumato in casa nella penultima giornata durante il match Roma-Lecce (finito 2-3). «Cosa accadde quel giorno? Che eravamo già cotti dalla settimana prima a Pisa, avevamo vinto in rimonta ma non c’era più brillantezza, troppo stanchi di testa e di gambe dopo la grande rincorsa alla Juventus, durata mesi. Sto ancora cercando di dare una spiegazione di quello che è successo», ha dichiarato in passato Giannini.
Giannini è bello e bravo. Di lui si innamora anche l'Avvocato Gianni Agnelli che lo vuole alla Juventus. Gli arriva ad offrire un assegno in bianco, ma il «Principe» dice no. Senza alcun pentimento: «Tornassi indietro - ha detto - rifarei la stessa scelta d’amore verso la Roma». Eppure seguono anni non facili per i giallorossi, in cui la squadra non riesce a vincere il campionato. Tra i successi invece c'è una Coppa Italia conquistata con la fascia al braccio nel '90/'91. Poi il rapporto con la società, in particolar modo con l'allora presidente Franco Sensi, s'incrina (anche a causa di un rigore sbagliato nel derby del 6 marzo 1994 che costa la sconfitta ai giallorossi contro la Lazio). Il divorzio dalla Roma arriva poco dopo, nel 1996: quando Sensi decide di non rinnovargli il contratto in scadenza, Giannini emigra in Austria, allo Sturm Graz. Negli ultimi anni di carriera veste per pochi mesi la casacca del Napoli, chiamato da Carlo Mazzone (e segna anche un gol nel 3-0 contro la Lazio in Coppa Italia), infine per una stagione e mezza quella del Lecce, contribuendo al ritorno in Serie A della squadra salentina al termine del torneo cadetto 1998-1999.
L'addio al definitivo al calcio giocato viene segnato con il «Giannini day» del 17 maggio 2000, ospitato allo Stadio Olimpico: una grande festa, tra colleghi, amici, compagni di vita e carriera, sciaguratamente rovinata però dall'invasione di campo dei tifosi sugli spalti, scottati dallo scudetto appena vinto dalla Lazio. Un imperdonabile episodio di rabbia sportiva che ferma la cerimonia con ben 45 minuti di anticipo. E con il «Principe» che saluta il campo da gioco in lacrime: «Non doveva finire così», dice al microfono rivolto allo stadio, abbracciato a Bruno Conti e Francesco Totti. Ha ragione Giannini, meritava un'uscita di scena diversa.
Ma non ha mai smesso di tifare Roma. Lo ha sempre ribadito, anche quando ha allenato le altre squadre (dal Foggia alla Sambenedettese, fino alla nazionale del Libano). Anche quando si è sentito dimenticato, «forse perché non mi piango addosso». Oggi vive a Castelgandolfo, sostiene le figlie Francesca e Beatrice che lavorano nella ristorazione, adora passare il tempo con la nipote Nina - «uno spettacolo» - e non guarda più vecchi filmati di calcio. Ma il suo nome è scritto nella storia dello sport. E domani si aspetta una valanga di auguri.
18 agosto 2024
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