Il nuovo libro di Stabile racconta la vita all'American Colony di ...

The American

"Il giardino e la cenere - Israele e Palestina nel racconto di un albergo leggendario" ricorda una realtà oggi molto lontana

Incontrai Alberto Stabile, per la prima volta, nel cortile dell’”American Colony”, storico albergo nella parte orientale di Gerusalemme, territorio palestinese occupato. Lui arrivava da altre importanti esperienze giornalistiche; io ero già di casa in quel luogo da anni prima di me frequentato da colleghi più anziani. Ne avevo sentito parlare, per la prima volta nel 1978 quando, per un insieme di circostanze, fui mandato in Israele dal Messaggero dopo aver seguito per anni dal lato musulmano le vicende del conflitto quasi biblico che oggi sembra quasi arrivato al suo tragico culmine.

Era quel Vicino Oriente che vedevo e raccontavo un mondo in evoluzione. L’Egitto – unico Stato della regione (insieme al Yemen) con una storia millenaria – era il perno fondamentale dei giochi di allora. Il grande Sudan era tormentato, come oggi, da una guerra civile in cui Vaticano e Israele, Charitas cristiana e Mossad erano alleati contro i musulmani del Nord. Gheddafi in Libia elogiava gli ebrei, ma criticava Israele che uccideva, colonizzava i palestinesi. Ero stato più volte a Bagdad prima dell’assalto di Saddam Hussein al governo di stampo socialista che copiava le tendenze allora crescenti in Europa. Avevo visitato molte volte Algeria, Tunisia, Marocco, ex possedimenti francesi ancora oggi alla ricerca di un futuro accettabile.

La segreteria di redazione era riuscita a prenotarmi una camera nel grande albergo Intercontinental sul monte degli Ulivi e dovetti considerami fortunato. Giornalisti di mezzo mondo erano piombati nella città santa per seguire l’allora presidente USA Jimmy Carter che arrivava dal Cairo: voleva indurre Israele e Egitto a firmare un trattato di pace e mettere fine al conflitto che periodicamente insanguinava il Medio Oriente. Pochi anni dopo quella mia prima permanenza nella città santa, il Colony diventò il mio albergo di riferimento a Gerusalemme; dalla metà degli anni ’80 e per oltre sei anni, la mia seconda casa.

Il giardino e la cenere – Israele e Palestina nel racconto di un albergo leggendario, il bellissimo libro scritto da Alberto Stabile e appena pubblicato da Sellerio, è un’insieme inebriante di sensazioni e odori mediorientali. Speranze tradite e lunghi, affascinanti momenti della sua vita personale, dell’amico e collega, si alternano guidati con grande abilità dalle parole, sempre misurate, ma intense del giornalista-scrittore. Molti delle donne e uomini descritte, protagonisti dello scontro in atto e che oggi sembra avviata verso una tragica conclusione – la distruzione di un popolo, quello palestinese – non ci sono più. Come non ci sono più la maggioranza dei camerieri, autisti, barman e concierge di quell’epoca e che noi giornalisti lontani da casa consideravamo famiglia.

Età, guerre e malattie hanno portato via molti di loro e Alberto Stabile li racconta con amore e grande tristezza. Tristezza per le persone che non ci sono più e anche per il grande tradimento della storia. Facendo il mio nome, il “decano”, scrive, degli inviati di guerra in quella regione, Stabile ammette che dopo la firma degli accordi di Oslo sul prato della Casa Bianca mentre io ero scettico “sulla capacità delle due parti di mantenere fede agli accordi”, lui sperava. “Quanto avrei voluto avere ragione”: le parole con cui mette fine a un capitolo, scritto in questi lunghi mesi in cui le parole pace e convivenza sono scomparsi dal vocabolario dei due popoli.

Quanto sono triste io per aver avuto ragione.

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