Giornata della disabilità: perché l'arte migliora la socialità e la ...
Giornata della disabilità: perché l’arte migliora la socialità e la plasticità del cervello
Il 3 dicembre si celebra la Giornata della disabilità. Scopriamo con gli esperti perché l’arte può essere uno strumento di inclusione
di di Redazione
La disabilità in Italia riguarda oltre 3 milioni di persone. Più colpiti gli anziani, ma tanti sono anche i giovani in età scolare. Ogni anno l’ISTAT redige un rapporto sull’inclusione degli alunni e delle alunne con disabilità nelle scuole. Il più recente, relativo all’anno scolastico 2022-2023 racconta che gli alunni con disabilità sono 338 mila. Il 3 dicembre si celebra la Giornata internazionale delle persone con disabilità, indetta dalle Nazioni Unite nel 1981. L’obiettivo è quello di sensibilizzare sui problemi connessi alla disabilità e rinnovare l’impegno per garantire la dignità, i diritti e il benessere di queste persone.
L’arte è un linguaggio universale che abbatte le barriere fisiche e mentali, spalancando le porte dell’espressione creativa. Lo sa bene Daniela Alleruzzo, Presidente dell’Accademia L’Arte nel cuore, che lavora accanto ai ragazzi con disabilità e normodotati, per dare loro l’opportunità di calcare un palcoscenico, lavorare su un set cinematografico, vivere il mondo dell’arte a 360 gradi.
Per le persone con disabilità l’impegno nell’ambito artistico può diventare un’opportunità straordinaria per superare le sfide che la disabilità presenta loro ogni giorno, andando oltre i propri limiti e comunicando con gli altri in modo significativo. «La mission è formare i ragazzi e dare una possibilità a coloro che non hanno mai potuto esprimere il proprio talento a causa della propria disabilità. Non ho voluto creare un’isola felice: L’Arte nel cuore non è dedicata solo a ragazzi con disabilità, ma è aperta anche ai ragazzi normodotati, perché soltanto quando si condivide un sogno, un progetto, si possono abbattere le barriere mentali e culturali. L’arte, in ogni sua forma, è uno strumento di inclusione, una forma di terapia naturale», spiega Alleruzzo.
Arte e plasticità neuronale«Senza dubbio l’arte può aiutare la socialità delle persone con disabilità e quindi migliorarne anche le qualità cognitive. Ed è questo un aspetto molto positivo. Stare insieme in gruppo, lavorare per un obiettivo comune, come può essere portare in scena uno spettacolo, migliora le prestazioni in generale. Anche dei normodotati. C’è poi un ulteriore aspetto positivo: mettersi in gioco, dover sfruttare le proprie abilità sono tutte attività che stimolano e migliorano la plasticità neuronale, che a sua volta impatta sulle abilità cognitive. E non è di certo un aspetto trascurabile. In Italia progetti sociali e ricerca scientifica viaggiano su due binari paralleli.
E questo è sbagliato. Si dovrebbe iniziare a guardare alla ricerca come strumento per l’inclusione, poiché è in grado di migliorare la qualità della vita delle persone e di conseguenza l’inclusione sociale. La ricerca scientifica deve essere considerata non solo sotto l’aspetto medico, ma anche da quello sociale e prettamente altruistico, per l’altro e per il bene degli altri. Perché una persona che sta bene più facilmente verrà inclusa», sottolinea il Professor Eugenio Barone, Ordinario di Biochimica della Sapienza Università di Roma e Presidente del Comitato Organizzatore della Conferenza Internazionale sulla sindrome di Down.
Disabilità e opportunità di lavoro«Il progetto L’Arte nel Cuore è nato nel 2005, primo nel suo genere. Nel corso degli anni siamo riusciti anche a integrare i ragazzi nel mondo del lavoro. Una delle nostre allieve è stata la prima ragazza con sindrome di Down impegnata nel doppiaggio. Ha iniziato a doppiare nel 2020 e oggi lavora anche in produzioni cinematografiche internazionali. Abbiamo cambiato la vita a tanti di loro che hanno iniziato per hobby, ma che oggi sono attori professionisti, impegnati in fiction RAI, ma anche in film nazionali e internazionali. Alcuni nostri allievi anche con lo spettro autistico, grazie ai corsi, oggi sono DJ. Per alcuni è stata una rivincita. Non vediamoli come un peso, ma come una risorsa per la società», conclude Alleruzzo.