Dopo Silicon Valley Bank ecco cosa ha portato al fallimento anche ...

Appena 48 ore e arriva il secondo crac delle piccole banche Usa. Dopo la messa in liquidazione di Silicon Valley Bank è arrivata ieri notte la chiusura dettata dal Tesoro e dalla Fed di Signature Bank. Il copione è simile a quello che ha provocato il default di Svb.

Nell’ultimo anno l’istituto, più piccolo per attività di Svb con solo 110 miliardi di asset, ha visto i depositi crollare da 106 miliardi di dollari a 88 miliardi. Un’uscita di raccolta diretta dei suoi clienti per 18 miliardi secchi, un taglio del 17% dei soldi dei depositanti.

Ma a mettere in guardia le autorità Usa è l’emorragia delle perdite sottese al portafoglio titoli. Ben 21 miliardi classificati come Afs (disponibile alla vendita) che hanno registrato già nel corso del 2022 una minusvalenza per 2,4 miliardi. Cui si sommano le minus sul portafoglio Htm (detenuti fino alla scadenza) per 765 milioni su 7,8 miliardi di bond governativi. La piccola banca si trovava così già a fine del 2022 con perdite sui titoli pubblici per oltre 3,1 miliardi. La cassa era di solo 5,9 miliardi e il capitale netto della banca appena di 8 miliardi. Soglia di pericolo dato che il cosiddetto Cet1 era a poco più del 10%.

Le perdite per oltre 3 miliardi sui titoli rischiavano di impattare fortemente sul capitale tanto da spingere Signature al lancio di un aumento di capitale. Con l’aria che tira le autorità Usa hanno preferito evidentemente spegnere sul nascere quella che poteva trasformarsi nel copione amaro di Svb. Chiamare un aumento di capitale in questo momento avrebbe voluto dire fomentare gli stessi dubbi sulla solidità della banca che hanno portato alla massiccia fuga di massa dei depositanti già vista in Svb. Si vedrà se l’intervento lampo del Tesoro eviterà o meno l’effetto contagio. (riproduzione riservata)