Caso Orlandi, ecco perché la verità è interesse di tutti

8 Ago 2023
Emanuela Orlandi

«Tutti lavorano per la verità», ha scritto su Avvenire don Maurizio Patriciello. Sul quotidiano della Cei il parroco di frontiera si è rivolto direttamente al fratello della cittadina vaticana scomparsa a 15 anni: «Non sai quanto bene io voglia a te e alla tua famiglia. Con voi soffro per la tragedia immensa occorsa alla vostra cara Emanuela. Con voi condivido l’ansia di arrivare quanto prima alla verità. Con voi ho accolto con gioia la notizia che sia in Vaticano che in Italia si sta lavorando alacremente per mettere finalmente la parola fine a questo strazio che ha lacerato la tua famiglia e noi. Permettimi, però, di dirti che non ho apprezzato le tue parole riguardo le ultime notizie. Se si indaga, occorre farlo a 360 gradi. Senza tralasciare niente. Ma proprio niente. Non è questo che tu stesso hai sempre chiesto? Nel farlo possono sbucare fuori indizi che riguardano chicchessia. Sono ipotesi investigative». E ha aggiunto: «Mi rendo conto che non è bello sentire che anche su vostro zio emerge qualche dubbio da approfondire. Che male c’è? Lasciamo fare agli inquirenti. Se è innocente la sua innocenza emergerà e la strada per arrivare alla verità sarà sempre più sgombra. Non credo, però, che sia giusto, da parte tua, offendere il Promotore di Giustizia Vaticano e il Procuratore della Repubblica di Roma per avere osato gettare lo sguardo anche su un membro della famiglia Orlandi. Adesso che tutti sono decisi ad arrivare fino in fondo, pur soffrendo, occorre anche lasciare lavorare con serenità chi è chiamato a farlo».

Monsignor Michele Pennisi, prima di essere nominato nel 2002 vescovo di Piazza Armerina da Giovanni Paolo II e nel 2013 arcivescovo di Monreale da Benedetto XVI, è stato rettore a Roma dell’Almo Collegio Capranica. Dal 2017 monsignor Michele Pennisi fa parte del gruppo di lavoro che sta scrivendo la scomunica ai mafiosi su incarico di Papa Francesco. «È appena ricorso il quarantesimo anniversario della misteriosa scomparsa della ragazza quindicenne Emanuela Orlandi, cittadina vaticana, sottratta improvvisamente all’affetto della sua numerosa famiglia (madre, padre, tre sorelle e un fratello) duramente provata – afferma il presule a Vatican Insider - In questi quattro decenni il mistero si è sempre di più infittito, e le ipotesi, spesso senza prove, hanno varcato i limiti geografici, politici e criminali di tantissimi mondi: il Vaticano, lo Stato italiano, il blocco sovietico, la Turchia con l’attentatore del Papa Alì Agca, l’Inghilterra, la banda della Magliana, la mafia, mitomani e millantatori. Tanti pezzi parziali di verità non sono riusciti a dipanare la complessa matassa per cui ancora oggi non sappiamo se Emanuela sia viva, come ha sostenuto Alì Agca, o sia morta, quando dove e da chi. Anche i vari tentativi di trovare la sua tomba fino ad oggi sono risultati vani». Prosegue l'arcivescovo Pennisi: «Anche se le precedenti indagini giudiziarie si sono concluse con l’archiviazione, il fatto che è stata istituita una Commissione d’Inchiesta della Camera e del Senato anche sulla scomparsa della giovane Mirella Gregori e che il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano abbia aperto un’inchiesta potrebbe far sperare, che la richiesta dei familiari di conoscere la verità e di ottenere giustizia possa essere esaudita. È importante che chi conosce particolari, moventi, decisori ed esecutori collabori con gli organi inquirenti perché finalmente si conosca la verità, sia fatta giustizia e i familiari, ai quali mi sento vicino con la preghiera, abbiano delle certezze».

Il sociologo Massimo Introvigne, fondatore nel 1988 del Cesnur (Centro Studi sulle Nuove Religioni), autore di numerosi saggi scientifici e già incaricato per la libertà religiosa dell’Osce (Organizzazione Cooperazione e Sicurezza in Europa), ha testimoniato di fronte a commissioni parlamentari, oltre che in Italia, al Parlamento Europeo, negli Stati Uniti, in Ungheria e in Germania sui temi del pluralismo religioso. Nel 1971 ha iniziato una militanza in Alleanza Cattolica, di cui dal 2008 al 2016 è stato vice-responsabile nazionale (reggente nazionale vicario), una «agenzia» (non un movimento) cattolica che ha il duplice scopo di studiare e diffondere il magistero pontificio e di applicarne gli insegnamenti. In occasione del 40° anniversario della scomparsa di Emanuela Orlandi, da più parti l'aspetto sessuale è stato sollevato più volte come se crescere in un ambiente composto quasi esclusivamente da uomini single possa essere pericoloso per una ragazzina. Osserva il professor Introvigne a Vatican Insider: «A me pare che ci siano due aspetti del problema. Uno è che gli abusi sessuali sono stati - in una certa misura lo sono ancora, ma le misure adottate dagli ultimi Pontefici in qualche misura funzionano, e i casi che vanno in prima pagina spesso si scoprono ora ma riguardano un passato remoto - un problema drammatico che ha determinato una delle maggiori crisi nella storia della Chiesa. È giusto protestare quando si pubblicano statistiche esagerate prodotte con metodologie poco scientifiche - io stesso l’ho fatto - ma è del tutto sbagliato adottare un atteggiamento “negazionista”. Fa differenza se i casi in un certo Paese sono mille, diecimila o centomila ma anche le cifre più basse sono di per sé sufficienti a creare un dramma e una crisi di credibilità per la Chiesa, che è forse la più grave della sua storia». Prosegue Introvigne: «Il secondo aspetto è che - a causa della tragica verità degli abusi - si tende ad attribuire a motivazioni sessuali qualunque problema o evento nella Chiesa le cui dinamiche o cause non ci sono note. Per quanto ne so non ci sono prove di elementi sessuali nella vicenda Orlandi e moltissime ragazzine cresciute in mezzo ai preti o alle suore non hanno avuto problemi particolari». Anche ai vertici del Vaticano sono scoppiati scandali, con accuse di insabbiamento e abusi sessuali. Sui mass media ci si è domandato se si tratti di un contesto di uomini altamente competitivi e competenti e se ci sia un problema di impreparazione al sesso e alle pulsioni affettive. «Questo è parte della riflessione che la Santa Sede da Benedetto XVI a Papa Francesco ha promosso e che ha portato a un cammino di riforma delle indicazioni educative per i seminari. C’è ancora molto da fare ma la strada è tracciata. Io stesso ho partecipato a convegni organizzati da dicasteri vaticani in cui si è sollecitata l’opinione dei sociologi - evidenzia Introvigne - Ho espresso il mio scetticismo sul fatto che eliminando il celibato si risolverebbe il problema della pedofilia. Ci possono essere altre valide ragioni per superare il celibato, che non è un dogma, ma i sociologi sanno che ci sono drammatici problemi di pedofilia in altri contesti religiosi protestanti dove i pastori si sposano e in altri ambienti, dai boy-scout alle squadre giovanili sportive, che non possiamo attribuire al celibato. Dunque eliminare il celibato non è un toccasana - tra l’altro molti preti pedofili sono attratti da ragazzi e non da ragazze, un semplice dato da non confondersi con l’affermazione falsa, discriminatoria e sciocca secondo cui i preti omosessuali o molti di loro sono nello stesso tempo pedofili - mentre un contributo positivo può essere dato da una diversa educazione e attenzione ai temi dell’amore e della sessualità in seminario, anche a costo di perdere qualche vocazione. I seminari del passato certamente non preparavano a vivere in una società dove dopo il 1968 l’accostamento alla sessualità è cambiato radicalmente. La formazione impartita nei seminari non era in passato sufficiente per comprendere e vivere le questioni della sessualità. Oggi sono state suggerite modifiche e miglioramenti. Non sono forse ancora sufficienti. Occorre continuare su questa strada e soprattutto verificare che i documenti vaticani siano effettivamente applicati». Nulla autorizza ritenere che il celibato ecclesiastico favorisca gli abusi sui minori. «Purtroppo ci sono fior di pedofili sposati e con figli, e non solo fra i pastori di congregazioni religiose - sottolinea Introvigne - Anche sul caso Orlandi, l'esperienza, appunto, mi suggerisce di stare ai fatti, e i fatti accertati sono molto pochi».

Monsignor Tommaso Stenico ha prestato servizio nella Curia vaticana dal 1982 al 1992 al Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa (ora seconda sezione della Segreteria di Stato), è poi diventato capo ufficio della catechesi al dicastero per il Clero. «Ricordo bene Emanuela Orlandi. Veniva alla Messa a Sant’Anna, la parrocchia all’interno del Vaticano, con sua madre, la signora Maria Pezzano Orlandi - racconta il prelato a Vatican Insider - Quando è scomparsa mi formai subito l’idea che in Vaticano non si disponesse di notizie sulla vicenda. A quell’epoca celebravo la Messa a Sant’Anna e la mamma di Emanuela veniva in chiesa ogni mattina, poi in sacrestia chiedeva preghiere per Emanuela e spesso celebravo funzioni per chiedere il suo ritorno a casa. Ci trattenevamo spesso a conversare e cercavo di confortarla nella sua sofferenza. Conoscevo anche il padre di Emanuela, Ercole Orlandi, perché lavorava come commesso alla Prefettura della Casa Pontificia e lì prestava servizio mio cugino monsignor Luigi Molinari, che andavo spesso a trovare e con cui sedevamo a parlare in un salottino». Aggiunge monsignor Stenico: «Lì incrociavo spesso Ercole Orlandi, persona ben stimata e conosciuta. Dentro le mura leonine abitavano pochissime famiglie e i laici già allora costituivano una piccolissima parte della popolazione della Città del Vaticano. All’interno sulla scomparsa di Emanuela è sceso da subito il silenzio più assoluto infranto solo quando sui giornali comparivano degli articoli. Ho ricordi netti al riguardo. Sono psicanalista per formazione e ho cercato in più occasioni di far cadere il discorso sul suo caso ma dai miei superiori in Segreteria di Stato ho avuto la chiara impressione che non si sapesse cosa fare. Ho provato personalmente a porre la questione con il mio superiore, il “ministro degli Esteri” vaticano monsignor Achille Silvestrini, poi divenuto cardinale. Con lui avevo un rapporto molto stretto e ne ho ricavato il convincimento che veramente non conoscesse la sorte di Emanuela Orlandi. In più occasioni mi ha detto con dolore: “Chissà cosa è successo a quella povera ragazza” e sono persuaso che fosse sincero. Avevo contatti quotidianamente con monsignor Silvestrini per fare il punto con lui su quanto usciva sui giornali riguardo ad argomenti vaticani e di politica estera. Di Emanuela Orlandi ho parlato anche con il Segretario di Stato, cardinale Agostino Casaroli, che era il terminale della linea diretta per i contatti sulla scomparsa. Stessa cosa con il sostituto della Segreteria di Stato, l’arcivescovo e poi cardinale spagnolo Eduardo Martinez Somalo. In pratica si tratta dei tre massimi esponenti della gerarchia vaticana». Nei colloqui con loro, prosegue monsignor Stenico, «ho compreso che il silenzio su Emanuela Orlandi scaturiva dal non avere elementi per inquadrare la vicenda. I depistaggi dei servizi segreti dell’est durante la guerra fredda e la raffica di supposizioni giornalistiche facilitavano il non parlarne all’interno. Sono convinto che la difficoltà di affrontare fosse dovuta al non sapere e all’impotenza di conoscere. Non mi ha mai convinto l’ipotesi della pista sessuale perché conoscevo Emanuela Orlandi ed era poco più di una bambina. Non ho mai scorto in lei la minima ombra di malizia. La ricordo come una ragazzina sicuramente molto vivace e dallo sguardo intelligente ma molto piccola, tale da non legittimare alcun pensiero di desiderio sessuale. Con il mio gruppo di lavoro di psicanalisti e psicologi ci vediamo una volta al mese e sulla scomparsa di Emanuela Orlandi sono venute fuori solo domande e mai risposte. Nessuno ha mai tentato di ipotizzare una soluzione al giallo. Dall’appartamento pontificio non ho mai colto segnali sul caso. Papa Giovanni Paolo II l’ho conosciuto bene e sono stato più volte a colazione da lui per discutere di catechesi. Era un uomo di straordinaria levatura. I suoi appelli pubblici per la liberazione di Emanuela Orlandi furono fortemente motivati dalla volontà di ottenere il suo ritorno a casa. La visita alla famiglia Orlandi fu un atto di misericordia nei confronti dei familiari nel dolore ed è lì che ha avallato la pista del terrorismo internazionale collegando il rapimento della ragazza all’attentato da lui subito due anni prima. Non dimentichiamo che quando Emanuela Orlandi fu rapita Karol Wojtyla era in Polonia per un viaggio fondamentale nella geopolitica della guerra fredda».

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