Il Milan di Pioli è finito ma le colpe del crollo vanno divise fra tutti

13 giorni ago

Non c'è più l'empatia dello scudetto. Però hanno più responsabilità i giocatori e il mercato non ha aiutato

Pioli - Figure 1
Foto La Gazzetta dello Sport

Giornalista

20 aprile 2024 (modifica alle 08:15) - MILANO

L’aspetto più inquietante e sorprendente dell’eliminazione del Milan dall’Europa League è stata la linea piatta da un giovedì all’altro. Nessun segnale di vita. Eppure, Stefano Pioli le ha provate tutte, come il più accanito dei rianimatori. Per una settimana ha evocato la reazione, ha martellato sull’esigenza di crescere in attenzione difensiva e agonismo, ha fatto rivedere l’andata di San Siro, ha preparato un nuovo assetto tattico per andare oltre, nell’allenamento di rifinitura all’Olimpico ha riunito la squadra in cerchio e ha cercato di recuperare un’empatia di corpi e di intenti, ha portato Rafa Leao in conferenza per metterlo davanti alle sue responsabilità di leader tecnico. Niente da fare. Il cuore del Diavolo non si è acceso. Linea piatta come a San Siro. Leao e Theo ancora spenti. Giroud impalpabile. Disattenzioni decisive in difesa, ritardi perenni sulle seconde palle, attacchi anemici. Sorprendente perché, alle prestazioni più negative il Milan ha sempre fatto seguire una reazione d’orgoglio. Stavolta no. 

fine di un ciclo

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E allora va preso atto che il Milan di Pioli non esiste più. Quelli di Grey’s Anatomy direbbero: «L’abbiamo perso». Non perché i giocatori gli giochino contro o perché il tecnico si sia imbrocchito di colpo, ma perché i cicli finiscono e, dopo anni di convivenza, i rapporti di gruppo cambiano, si sfilacciano. I canali comunicativi si sono ostruiti nel tempo, calcare nelle tubature: tra mister e squadra non scorre più l’empatia dello scudetto, quando tutti cantavano sul pullman «Pioli is on fire». Si è sbriciolata, nel complesso, l’empatia di tutto il mondo Milan: dirigenti, tifosi… E il tutto è risultato ancora più evidente, in contrasto con la straordinaria coesione della Roma di De Rossi. Oggi a Daniele basta muovere un sopracciglio per ottenere una reazione virtuosa in campo. Con l’organizzazione e il nuovo coraggio tattico, ha trasmesso alla squadra serenità e fiducia. Gianluca Mancini, che sotto Mourinho era un martello isterico, ora con una tranquillità irriconoscibile fa controlli orientati alla Dybala. La proprietà americana ha confermato tempestivamente il tecnico istigando la seratona. Il popolo giallorosso era una colata di miele, mentre quello rossonero, livido, convocava la squadra sotto la curva. 

le responsabilità

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Anche se tutti vogliono Pioli sul Golgota, la colpa dello sfascio va condiviso tra tutte le componenti. Pioli resta uno dei migliori allenatori italiani e verrà ricordato come uno dei migliori nella storia del Milan: prese la squadra tra le macerie, all’11° posto e probabilmente la lascerà al 2°, dopo averla riportata allo scudetto (imprevisto) e a una semifinale di Champions, riempiendo per 5 anni San Siro con calcio di qualità. Molto più responsabili i giocatori che vanno in campo. Leao sta concludendo l’ennesima stagione da incompiuto, a giugno compirà 25 anni, 9 in più di Yamal che decide già le partite con continuità. Se, a San Siro, poteva essere sorpreso dalla gabbia El Shaarawy, cosa ha fatto al ritorno per venirne fuori? Quante partite di Theo e Rafa si possono salvare in stagione? Nella tempesta, non si sono visti leader al timone. Un blocco trascinante di italiani, più sensibile all’appartenenza, avrebbe aiutato. E qui subentrano le responsabilità della società. Inutile contare i gol di Okafor, Loftus-Cheek e Jovic per sostenere che sia stato un buon mercato. È stato colpevolmente lacunoso: le funzioni di Tonali non sono state sostituite, sono mancati un centrocampista di spessore e personalità, alla Koopmeiners, capace di dirigere, un vice Theo e un’alternativa solida a Giroud. Come previsto in estate, il vuoto di Maldini ha pesato. A Pioli è mancato un interlocutore tecnico e ai giocatori una presenza di riferimento. A Hernandez, uno dei più deludenti, bastava scambiare due parole con Paolo per gonfiarsi. 

la ricostruzione

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Ibra è un’altra cosa, ma toccherà a lui rifondare. Dovrà farlo, prima di tutto, costruendosi una squadra competente attorno, scegliendo l’allenatore giusto e indirizzando un mercato che dovrà essere importante. Per quanto onnipotente, Zlatan è ancora un’apprendista del ruolo. È alla sua prima vera opera di ingegneria calcistica. È l’ora di scelte delicate, da non sbagliare, se si vuole rivedere il vero Milan. Quello costretto a rovinare la festa degli altri per salvare la stagione e che ascolta l’omelia ultrà a capo chino, non c’entra nulla con la gloriosa storia rossonera.

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